Per interrompere la gravidanza si potrà finalmente assumere il primo farmaco in ambulatorio o in consultorio, ed il secondo a casa. Una comune pratica clinica nella gran parte degli altri Paesi inizia a diventare realtà anche in Italia dopo la circolare ministeriale dell’agosto 2020

Ancora una volta, le strade delle maggiori città polacche si sono riempite di manifestanti. Sfidando le restrizioni anti-covid, le temperature sotto lo zero e le cariche della polizia, per protestare contro la sentenza della Corte suprema che rende praticamente impossibile l’accesso all’aborto. Guardando all’esempio vergognoso del governo di Kaczynski, il fronte antiabortista si è riorganizzato in tutta Europa.

In moltissime città italiane sono rispuntate da qualche tempo, violentemente bugiarde, le gigantografie che bollano la Ru486 come “veleno”; nelle Marche, dopo i tentativi di ritorno indietro dell’Umbria di Tesei e Pillon, la giunta regionale di centrodestra ha bocciato una mozione che chiedeva il recepimento delle nuove linee di indirizzo ministeriali sulla Interruzione volontaria di gravidanza (Ivg) farmacologica, dichiarando ufficialmente di non considerarle vincolanti. Per il capogruppo di Fratelli d’Italia Carlo Ciccioli, la vera priorità sarebbe la denatalità nel nostro Paese, cui ovviamente l’aborto contribuisce, con il conseguente rischio di una «sostituzione etnica».

Pubblicata nell’agosto 2020, la circolare del ministero della Salute che ha aggiornato, dopo 10 anni, le linee di indirizzo per la Ivg farmacologica, eliminando l’obbligo di ricovero e introducendo la possibilità del regime ambulatoriale, è stata praticamente lettera morta fino ad ora; ciò ha costretto gli operatori a negare alle donne la procedura at home, per la mancanza di protocolli operativi regionali. Finalmente, in questi giorni, è stata pubblicata sul Bollettino ufficiale Regione Lazio la determina con la quale il Lazio recepisce la circolare ministeriale. La procedura ambulatoriale, at home per la Ivg farmacologica, comune pratica clinica nella gran parte degli altri paesi, diventa dunque a tutti gli effetti una realtà, per cui presto sarà possibile, per le donne del Lazio, prendere la Ru486 in ambulatorio o in consultorio, ed il secondo farmaco, la prostaglandina, a casa.

Una semplificazione sicuramente necessaria in tempi in cui la pandemia Sars CoV-2 impone di limitare gli accessi in ambiente ospedaliero, al fine di ridurre il rischio di contagio, ma che diventa addirittura rivoluzionaria in questo clima di indifferenza e ostilità, in cui la propaganda politica si fa sbaciucchiando rosari e crocifissi e calpestando i diritti civili. Con questa determina la Regione Lazio ha rotto il silenzio, rispondendo in primo luogo ad un preciso dovere della Sanità pubblica, che è quello di garantire l’accesso ad una procedura sicura ed efficace su tutto il territorio regionale. Una procedura che, ribadisce la determina, può essere utilizzata non solo per l’interruzione volontaria di gravidanza del primo trimestre, ma anche per il trattamento di altre condizioni ostetriche, quali ad esempio l’aborto spontaneo ritenuto. Un’affermazione importante, questa, se si pensa che ancora oggi i servizi farmaceutici di molte aziende sanitarie non dispongono dei farmaci utilizzati nella procedura perché ad essi viene esteso il giudizio morale sull’aborto volontario, al quale vengono esclusivamente associati. Dunque, la determina introduce una de-stigmatizzazione che si estende alla procedura stessa, che viene riportata negli ambiti che le sono propri: nell’ambito sanitario, nell’ambito della relazione della donna con il medico e nell’ambito delle decisioni che le persone assumono riguardo la propria vita e la propria salute.

È in quest’ottica che, tra le strutture ambulatoriali interessate all’attuazione del protocollo, sono inclusi i consultori. Per la loro organizzazione, nonché per la presenza di una equipe multidisciplinare, i consultori sono infatti le strutture più adatte ad inserire l’aborto in un percorso più generale che guarda alla persona nella sua complessità, intrecciando la salute riproduttiva con i sentimenti, le relazioni sociali, le decisioni di ciascuna. D’altra parte, i consultori erano già al centro di un progetto di sperimentazione della Regione Lazio, che introduceva la possibilità del regime ambulatoriale at home per la Ivg farmacologica; approvato nel 2017, il progetto fu bloccato dall’allora ministra della Salute Beatrice Lorenzin. Oggi, le nuove linee di indirizzo ministeriali hanno abbattuto l’ipocrisia del paravento della sperimentazione (il regime at home era già utilizzato da anni in moltissimi paesi nel mondo), permettendo l’approvazione di un protocollo operativo che costituisce una svolta importante, rivoluzionaria, perché mette le donne, finalmente soggetti attivi, al centro di questa procedura.

È una svolta rivoluzionaria alla quale il personale sanitario, abituato a considerare le donne pazienti, oggetti passivi dell’agire medico, non è certamente preparato, e alla quale spesso è ostile perché ne percepisce il potenziale di scardinamento di pratiche inveterate e di rapporti di potere ai quali non è facile rinunciare. Sarà dunque necessaria una formazione rigorosa del personale che certo dovrà acquisire le necessarie nozioni tecniche, ma che dovrà compiere, soprattutto, un vero e proprio cambiamento culturale. Una formazione necessaria, alla quale, secondo la determina del Lazio, è chiamato tutto il personale sanitario, ospedaliero e territoriale, anche quello che abbia sollevato obiezione di coscienza. Certo, non è che un inizio. Bisognerà infatti coniugare l’impegno per attuare il protocollo approvato con un impegno reale nel rafforzamento della rete e dell’attività dei consultori, sempre più impoveriti e depotenziati da una gestione meramente economicista della Sanità pubblica.

In un clima di contrapposizioni ideologiche e di narrazioni lamentosamente retoriche, di proposte di aperture sempre più ampie al privato confessionale per il quale i percorsi per l’Ivg e per la contraccezione possono non esistere, l’esempio del Lazio, di un lavoro silenzioso e costruttivo per la salute delle donne, dovrebbe essere raccolto da altre Regioni. Moltiplicare questa esperienza, amplificarla, abbattere preconcetti e stigmatizzazioni, allargare le occasioni di empowerment per le donne, sono gli obiettivi doverosi e necessari a cui tutti dovremo puntare, perché quello di oggi “ce n’est qu’un debut”….!


L’articolo è tratto da Left del 5-11 febbraio 2021

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