Sanaa Seif è un'attivista egiziana di 27 anni, la sua storia ci aiuta a capire cosa significhi vivere oggi in Egitto per chi è considerato non allineato al regime del presidente al-Sisi. Nove mesi fa, il 22 giugno, insieme alla madre e alla sorella Sanaa era appena giunta di fronte alla prigione di Tora in attesa che venisse loro consegnata una lettera del fratello Alaa Abdel Fattah (detenuto dal 2019). In pochi attimi le tre donne sono state circondate e picchiate da un gruppo di altre donne armate di bastoni sotto lo sguardo indifferente della polizia penitenziaria. Il giorno dopo, mentre stava entrando negli uffici della Procura del Cairo per denunciare l’aggressione, Sanaa è stata arrestata con l'accusa di “aver diffuso notizie false”, “uso improprio dei social media” e “offesa a un pubblico ufficiale in servizio”. Il tutto sarebbe accaduto in relazione all'aggressione subita, stando alla sentenza del tribunale del Cairo che il 17 marzo l'ha condannata a un anno e mezzo di carcere. Accuse molto probabilmente infondate. Dopo l'aggressione Sanaa decise di dare risalto all’accaduto attraverso dei post sui suoi canali social che secondo la sentenza sarebbero stati realizzati con l’intento di istigare la cittadinanza contro le forze dell’ordine locali. È di parere contrario invece l’associazione umanitaria Amnesty international: «I post pubblicati per denunciare l’aggressione del 22 giugno non costituivano affatto incitamento all’odio o alla violenza». Altri post incriminati come fake news sono quelli scritti dall’attivista, precedentemente all'aggressione, per criticare la gestione della pandemia da Covid-19 da parte del presidente egiziano al-Sisi. L’ultimo capo d’accusa, «offesa a un pubblico ufficiale in servizio», farebbe infine riferimento a un alterco avuto da Sanaa Seif con un agente di polizia che avrebbe spintonato la madre verso il gruppo delle assalitrici. Questa non è la prima sentenza contro Sanaa Seif. Nel 2014 commise il “reato” di partecipazione a una manifestazione considerata illegale. Condannata a due anni di carcere fu scarcerata poco tempo dopo avendo ricevuto il perdono presidenziale nel 2015. Perdono che oggi suona più come un ultimo avvertimento. Firma qui l'appello per la liberazione di Sanaa Seif lanciato da Amnesty international Italia

Sanaa Seif è un’attivista egiziana di 27 anni, la sua storia ci aiuta a capire cosa significhi vivere oggi in Egitto per chi è considerato non allineato al regime del presidente al-Sisi. Nove mesi fa, il 22 giugno, insieme alla madre e alla sorella Sanaa era appena giunta di fronte alla prigione di Tora in attesa che venisse loro consegnata una lettera del fratello Alaa Abdel Fattah (detenuto dal 2019).

In pochi attimi le tre donne sono state circondate e picchiate da un gruppo di altre donne armate di bastoni sotto lo sguardo indifferente della polizia penitenziaria. Il giorno dopo, mentre stava entrando negli uffici della Procura del Cairo per denunciare l’aggressione, Sanaa è stata arrestata con l’accusa di “aver diffuso notizie false”, “uso improprio dei social media” e “offesa a un pubblico ufficiale in servizio”. Il tutto sarebbe accaduto in relazione all’aggressione subita, stando alla sentenza del tribunale del Cairo che il 17 marzo l’ha condannata a un anno e mezzo di carcere. Accuse molto probabilmente infondate.

Dopo l’aggressione Sanaa decise di dare risalto all’accaduto attraverso dei post sui suoi canali social che secondo la sentenza sarebbero stati realizzati con l’intento di istigare la cittadinanza contro le forze dell’ordine locali. È di parere contrario invece l’associazione umanitaria Amnesty international: «I post pubblicati per denunciare l’aggressione del 22 giugno non costituivano affatto incitamento all’odio o alla violenza».

Altri post incriminati come fake news sono quelli scritti dall’attivista, precedentemente all’aggressione, per criticare la gestione della pandemia da Covid-19 da parte del presidente egiziano al-Sisi. L’ultimo capo d’accusa, «offesa a un pubblico ufficiale in servizio», farebbe infine riferimento a un alterco avuto da Sanaa Seif con un agente di polizia che avrebbe spintonato la madre verso il gruppo delle assalitrici.

Questa non è la prima sentenza contro Sanaa Seif. Nel 2014 commise il “reato” di partecipazione a una manifestazione considerata illegale. Condannata a due anni di carcere fu scarcerata poco tempo dopo avendo ricevuto il perdono presidenziale nel 2015. Perdono che oggi suona più come un ultimo avvertimento.

Firma qui l’appello per la liberazione di Sanaa Seif lanciato da Amnesty international Italia