Nonostante le negligenze di Bolsonaro nel proteggerli dal Covid, l’evangelizzazione genocida dei predicatori, la violenza di aziende minerarie e di agrobusiness, gli indios brasiliani continuano a lottare per i propri diritti. Grazie anche all’aiuto delle università. Come ci racconta l’antropologo Yurij Castelfranchi

Una «politica di sterminio». Così un’associazione di indigeni brasiliani ha definito la condotta di Bolsonaro nei loro confronti. Un piano portato avanti con l’incentivo delle pratiche estrattive di chi invade le zone abitate dagli indios per spremerne le risorse e con la dissennata gestione del Covid, che sta letteralmente decimando i popoli indigeni. Ma qual è la situazione reale nei territori indios? Come si stanno organizzando per resistere? Quali sono le sponde politiche su cui possono contare? Ne abbiamo parlato con l’antropologo Yurij Castelfranchi, professore associato di Sociologia dell’Università federale di Minas Gerais.

Come è vissuta la pandemia dai popoli indios? Come (non) sono stati tutelati, dal punto di vista sanitario, da Bolsonaro?
Una premessa. Come giustamente ricordi, quasi tutte le associazioni e ong indigene parlano apertamente di una “politica di sterminio” e di “genocidio”. In particolare il Coordinamento delle organizzazioni indigene dell’Amazzonia brasiliana (Coiab) e l’Articolazione dei popoli indigeni del Brasile (Apib). Insieme a loro stiamo cercando di raccogliere prove per aprire un processo per crimini contro l’umanità al Tribunale internazionale dell’Aia. Dopodiché, entrando nello specifico, il disastro delle politiche del governo Bolsonaro contro gli indios attraversa vari fronti. Da una mancata assistenza sanitaria ad una assistenza per così dire “criminale”.

Può farci qualche esempio?
L’organo del governo federale che si occupa dell’assistenza sanitaria agli indios è la Segreteria speciale per la salute indigena (Sesai), collegata al ministero della Sanità, e alcuni casi di contagio in villaggi indigeni remoti son correlati all’intervento di medici e tecnici di questo ufficio, che hanno portato il virus persino in zone dove abitano gruppi indigeni isolati o non contattati. Inoltre, il tracciamento è scarsissimo in tutto il Paese, e ancora più nei territori indigeni e i dati sulla diffusione del coronavirus sono poco trasparenti e poco aggiornati.

Nei giorni scorsi l’Apib ha comunicato che si sono superati i mille morti indios per Covid, ma molto probabilmente è una stima al ribasso.
Parliamo di una popolazione indigena brasiliana frammentata in oltre 170 tra gruppi e popoli, alcuni composti da poche decine di persone, quando non poche unità. Non è così facile fare una conta precisa. Un’altra cosa da segnalare è che molti degli indios ricoverati in condizioni gravi oppure morti per l’infezione avevano ricevuto come terapia il famigerato “kit Covid”, un sacchetto contenente farmaci già dichiarati inefficaci dall’Oms e dalle autorità sanitarie brasiliane. Un cocktail con antiparassitari, antielmintici, antibiotici, la famosa clorochina, poi vitamine e zinco. In alcuni casi non è presente neppure la confezione di queste medicine o il foglietto illustrativo.

È vero che alcuni medici ancora prescrivono il “kit Covid”?
Purtroppo sì, sebbene le…


L’articolo prosegue su Left del 19-25 marzo 2021

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