Dalla Romagna alla Sicilia, da Udine a Roma, attivisti e associazioni hanno dato vita a archivi multiculturali e biblioteche antirazziste. Aprire gli occhi sul volto feroce del colonialismo italiano in Africa e conoscere la cultura dei migranti sono i primi passi per costruire una società più inclusiva

Alcune considerazioni sono d’obbligo nella 17esima settimana contro il razzismo (21-27 marzo) indetta dall’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali e finalizzata al contrasto delle discriminazioni etnico-razziali. Nell’ultimo decennio in Europa abbiamo assistito a ripetute azioni di discriminazione sociale e penale nei confronti dei migranti da parte di forze politiche e movimenti di ispirazione xenofoba. L’edificazione di barriere, fisiche e legislative, ha contribuito a dissolvere la ricchezza della differenza e a costruire una rappresentazione dell’altro come disordine e violenza. Si è andato così rafforzando una sorta di imperialismo ed etnocentrismo culturale che rigetta ogni alterità, salvo quando questa assume una funzione utile all’interno del proprio sistema; un atteggiamento che accompagna, da millenni, la storia dell’Occidente.

Anche per questo motivo è sempre più irrimandabile un reale ripensamento del significato del colonialismo italiano. Quasi ottant’anni di storia, dalla seconda metà dell’Ottocento al 1960, che ha riguardato in particolare il Corno d’Africa e la Libia e ha coinvolto tutti i governi succedutisi (Sinistra storica, liberali, regime fascista, fino ai primi esecutivi repubblicani). Ripercorrere quella storia assume oggi il significato di andare incontro ad un ripensamento profondo della nostra cultura, nella misura in cui da tempo sono loro – gli “altri” – che ci propongono un confronto. Storie in connessione. Ripensarci insieme, alla luce di una nuova cultura umanista, potrebbe allora servire a ridefinire l’identità stessa come ibrida e transculturale, non più chiusa e radicata dentro appartenenze e localismi ma aperta al molteplice, portatrice di un inedito e di un nuovo. Una vigorosa spinta al rinnovamento per la costruzione di una identità culturale creola capace di decolonizzare – alla radice – presupposti di unicità ed immutabilità.

Sono queste le premesse fondamentali con le quali un gruppo di attivisti dell’Associazione di promozione sociale Carminella, docenti, mediatori culturali, rifugiati, storici e scrittori – autoctoni e non – ha dato vita al progetto di una Biblioteca antirazzista nello storico quartiere romano del Quadraro. A partire da un’iniziale donazione di testi di epoca coloniale da parte della biblioteca della Fondazione Basso, il fondo si è presto arricchito di saggi critici di storia e antropologia, romanzi, raccolte di poesie e riviste, inviati da scrittori e case editrici. L’idea è di unire nello stesso luogo testi che raccontino le migrazioni di oggi e di ieri, il lento evolversi dei processi di schiavitù e disumanizzazione, così come le lotte di decolonizzazione e per l’autodeterminazione dei popoli. Storie di realizzazione e resistenza e non soltanto di sconfitta. «Ci siamo resi conto della necessità di allargare lo sguardo oltre il Corno d’Africa e la Libia – racconta Marina Chiarioni -, di seguire i processi di decolonizzazione e il neocolonialismo più o meno strisciante che…


L’articolo prosegue su Left del 19-25 marzo 2021

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