Se si esce dal dibattito social tra chi denuncia la cosiddetta “dittatura sanitaria” e chi irride coloro che la evocano, si trova invece una discussione, anche istituzionale o tecnica, seria a proposito dello stato delle nostre democrazie. Peccato sia così scarsa l’attenzione che vi dedicano i mass media mainstream, che si confermano in questo attraversati dal problema. Una rapida carrellata su internet fornisce pochi articoli e molti rapporti ufficiali o di ricerca.
Le considerazioni sulla democrazia (e gli istituti che le generano) sono un materiale da maneggiare con la dovuta attenzione, perché troppo spesso sono state finalizzate a interventi (leggi: guerre) “umanitari” e a “difese attive” di modelli di vita considerati superiori. O sono intrise di logiche geopolitiche.
Ciò premesso, e tenuto presente, la condizione della democrazia in tempi di Covid viene giustamente attenzionata. Ancora pochi giorni fa, la sessantacinquesima conferenza delle Nazioni Unite dedicata alla condizione della donna, tenutasi a distanza, con l’intervento del direttore dell’Onu Guterres e della vicepresidente Usa Harris, ha visto levare un grido d’allarme sulla crescita della violenza e del gap sul genere e delle condizioni di disagio, esclusione, imposizione che subiscono le donne con la pandemia. Si va dall’esclusione o dal peggioramento delle discriminazioni sul posto di lavoro all’incremento del peso dell’impegno domestico, alla violenza tra le mura di casa, all’esclusione scolastica, all’aumento delle spose bambine.
Già nell’autunno del 2020 l’Onu aveva tenuto la sua sessione annuale sullo stato della democrazia nel mondo con tanto di rapporto presentato. Con una condizione di peggioramento degli indici sostanzialmente generalizzata. C’è da dire che i rapporti tendono a convergere su questo peggioramento. Un trend che riguarda sia i Paesi classificati come “democratici” che quelli “attenzionati” o “posti all’indice”.
È quanto emerge sfogliando il report dell’International institute for democracy and electoral assistance (Idea), istituto intergovernativo cui aderiscono una trentina di Paesi (ma non l’Italia) e che fa da consulenza anche all’Onu. Il rapporto di Idea affronta moltissimi aspetti della vita istituzionale, politica, sociale. Problemi di funzionamento democratico. Di ruolo dei mass media. Di crescita della corruzione. Ne emerge anche un dato sull’Italia che ha il record di stato di emergenza prolungato che è il più lungo al mondo insieme alle Filippine.
Il Democracy index 2020 elaborato dall’Economist intelligence unit e pubblicato dall’Economist nel febbraio di quest’anno, dice che lo stato della democrazia è in peggioramento abbastanza ovunque, in particolare se si guarda al rispetto dei diritti civili. L’indice attribuito sulla base di 60 quesiti rielaborati da esperti è il più basso da molto tempo. La classificazione viene fatta su quattro categorie di Stati, che vanno dai “Paesi pienamente democratici”, a quelli con difetti, agli ibridi, agli autoritari. L’Italia sta al ventinovesimo posto, con difetti. Ciò che emerge, come dicevo, è l’andamento generalizzato che riguarda sia i Paesi considerati pienamente democratici, che quelli più “precari”, che gli Stati considerati fuori dagli standard democratici.
Anche il Parlamento europeo ha affrontato il tema approvando una risoluzione non legislativa l’11 novembre 2020. Il testo di dodici pagine ripercorre alcuni punti chiave. Ad esempio sulle dichiarazioni dello stato di emergenza che in alcuni Paesi avvengono su base di legge costituzionale ed in altri (come l’Italia) con legge ordinaria. La risoluzione dice che è necessario agire all’interno di quadri normativi certi, di garanzia per le istituzioni e i cittadini; con strumenti proporzionati e temporanei. Questo riguarda anche lo svolgimento o il rinvio delle elezioni. Ci sono rischi di eccessi autoritari. Ci sono poi i temi dei cittadini più fragili, più esposti. Della informazione, delle fake news. Della gestione dei finanziamenti europei.
Dunque il tema della democrazia in tempi di pandemia è giustamente tenuto sotto osservazione. Purtroppo con poca conoscenza e poca partecipazione informata, che non sia ridotta a tifoseria da Facebook. È un problema serio quello della informazione e della opinione pubblica europee, che Left e Transform proveranno ad affrontare prossimamente.
Ma intanto torniamo al qui e ora. Ad esempio c’è da chiedersi perché in Italia non si sia pensato di predisporre norme per permettere il voto a distanza e per posta. Il fatto che importanti elezioni locali, di Regione e di grandi città, sono state rinviate senza prendere in considerazione la possibilità di operare per permetterle in sicurezza deve far riflettere.
Anche perché quest’anno si è votato in tantissime parti, dagli Stati Uniti all’Olanda.
In Italia si è votato solo per il referendum “taglia Parlamento” che ha ridotto la rappresentanza. Rendendo quella legislativa italiana, considerando pure i Consigli regionali e il Parlamento Ue, tra le percentualmente più ridotte d’Europa, come documentato dal nostro settimanale.
In “compenso” c’è un governo di (quasi) tutti e con chi non lo ha votato che fatica a definirsi opposizione visti i legami che ha con chi sta al governo. A maggior ragione, al di là di ciò che ci raccontano gli studi tecnici, porci il problema di come sta la democrazia da noi è qualcosa di urgente.