Ogni ora in Brasile muoiono 125 persone a causa del Covid-19. Nel più grande Paese del Sud America si segnalano più nuovi casi e decessi al giorno rispetto a qualsiasi altro Paese al mondo. E questa settimana si supererà, purtroppo, la soglia delle 330mila vittime. Il sistema sanitario è ormai allo sbando da tempo e le terapie intensive non sono in grado di sostenere la pressione dei nuovi ricoveri.
Non c’è praticamente nulla che faccia da argine ai contagi. Il virus è lasciato libero di circolare dall’assenza di politiche efficaci e attacca in primis laddove la densità di popolazione è massima e il reddito è minimo: nelle favelas, tra i poveri, gli emarginati, tra chi è costretto a uscire ogni giorno da casa e andare a lavoro (o a cercare un lavoro) per sopravvivere. Ma anche e soprattutto il coronavirus sta facendo strage in Amazzonia, tra i nativi brasiliani le cui difese immunitarie possono ben poco di fronte a un nemico sconosciuto e così aggressivo.
Intervistato dallo Spiegel, l’ex presidente Lula, che come abbiamo anticipato due settimane fa sfiderà Bolsonaro alle elezioni del 2022, ha accusato l’attuale presidente di essere responsabile del «più grande genocidio della storia del Brasile». Come dargli torto? Se un capo di Stato ancora promuove l’idrossiclorochina come farmaco efficace, alimenta timori sui vaccini e minimizza la minaccia del virus, come appunto sta facendo Bolsonaro, il Sars-Cov2 non può che banchettare con i polmoni di chi incontra ed evolversi in nuove varianti più contagiose (come la P1 amazzonica, ad esempio).
In questo numero di Left torniamo a fare il punto sulla situazione in Italia. Affaticati come tutti da oltre un anno di emergenza sanitaria, di restrizioni, chiusure e rinunce ci siamo chiesti quando e come ne potremo uscire. Del resto Paesi come Israele e la Gran Bretagna iniziano a vedere la luce in fondo al tunnel. Perché dunque iniziare parlando del Brasile? Perché il signor Bolsonaro e il suo entourage hanno sempre negato l’utilità delle misure di distanziamento sociale, delle mascherine e soprattutto il ricorso ai lockdown.
A loro dire rigide misure contro l’avanzata del virus, e relativa chiusura delle attività lavorative, ricreative e commerciali, sarebbero nemiche dell’economia. Non vi ricorda vagamente qualcuno più vicino a noi? Quando il capo della Lega, Matteo Salvini, dice che è «impensabile chiudere l’Italia anche per l’intero mese di aprile» in risposta alle misure annunciate da Mario Draghi, capo del governo di cui la Lega fa parte, cosa pensa che accadrebbe se per caso fosse ascoltato?
«Chiediamo al presidente Draghi che dal 7 aprile, almeno nelle Regioni e nelle città con situazione sanitaria sotto controllo, si riaprano (ovviamente in sicurezza) le attività chiuse e si ritorni alla vita a partire da ristoranti, teatri, palestre, cinema, bar, oratori, negozi» ha detto il capo leghista in un crescendo di demagogia, populismo e scarsa considerazione della realtà che vive il nostro Paese.
«Siamo alle soglie del negazionismo – scrive Ezio Mauro su Repubblica – con Salvini ben attento oggi a non cascarci dentro e però capace di evocare con la sua politica echi paralleli a quella predicazione estrema che denuncia la “tirannia sanitaria”, la “distruzione della serenità”, e contrappone ai “morti viventi, disposti a chiudersi in un bunker per evitare il virus”, le “persone vive, pensanti e libere”. È il concetto – prosegue Mauro – di libertà che subisce una metamorfosi: non sono libero perché esercito consapevolmente tutte le mie facoltà, tra cui la coscienza del dovere di proteggere me stesso e gli altri, ma mi sento libero soltanto se sono liberato dal rispetto di ogni regola, perché sciolto dal legame naturale con la società, e dunque da ogni vincolo nei confronti altrui».
Salvini parla al ventre molle della società, apparendo – come Bolsonaro – incurante delle conseguenze che le sue parole avrebbero sulla diffusione del virus e quindi sulla salute pubblica, se attecchissero in profondità. Più che una «metamorfosi», il concetto di libertà sbandierato dal capo leghista subisce un vero e proprio capovolgimento di senso. Non esiste la libertà di far ammalare gli altri.
La libertà, per dirla con lo psichiatra Massimo Fagioli, è l’obbligo di essere esseri umani. E rischiare di contagiare una persona con un virus potenzialmente mortale non è espressione di libertà ma “sintomo” di disumanità. Possono le persone con queste caratteristiche avere responsabilità di governo? Il “caso” Bolsonaro (ma anche Trump) dimostra di no.
E non basta auspicare la riapertura laddove la «situazione sanitaria è sotto controllo» per smarcarsi e sembrare ragionevoli. Già perché forse non è chiaro che in Italia (con il 40% delle terapie intensive occupate da pazienti-covid), in Europa e nel mondo non esiste Paese in cui la situazione sanitaria sia sotto controllo. Se non in alcuni dove sono in vigore le misure restrittive disdegnate dal presidente brasiliano e che Salvini vorrebbe eliminare «per tornare alla vita».
Misure peraltro affiancate da efficaci piani vaccinali. Dicevamo della Gran Bretagna. In circa quattro mesi più di 26 milioni di persone (il 38% della popolazione) hanno ricevuto almeno una dose di un vaccino contro il coronavirus. Sebbene sia indietro rispetto a Israele che finora ha immunizzato oltre della metà della sua popolazione (11 mln di persone), il Regno Unito ha ottenuto questo risultato grazie a un efficace programma di vaccinazione. La parola chiave è pianificazione.
Come ricorda Jane Corbin della Bbc, il Department of Health and Social care ha iniziato a pianificare prima ancora che ci fosse la conferma del primo caso di Covid-19 nel Regno Unito. E già durante l’estate del 2020 il governo di Boris Johnson aveva firmato un contratto per 100 milioni di dosi del vaccino Oxford-AstraZeneca.
Qui da noi Matteo Salvini il 25 giugno diceva: «Perché mai dovrebbe esserci una seconda ondata? È inutile continuare a terrorizzare le persone. Possiamo dire che in Italia fortunatamente, anche se bisogna continuare ad essere prudenti e non esagerare, la situazione è sotto controllo?».
No, non lo si poteva dire allora – come del resto abbiamo scritto e documentato più volte – e non lo si può dire nemmeno oggi. E non solo perché in Italia diversamente dalla Gran Bretagna al 30 marzo è stato vaccinato con la prima dose solo l’11,1% della popolazione (6,6 mln di persone) e il 3% con la seconda ma perché Londra ha accompagnato l’immunizzazione di massa con rigide misure di lockdown sin da prima delle feste di fine anno. Ricordate cosa è invece accaduto in Italia nei giorni precedenti a Natale?
Il 30 marzo nel Regno Unito è iniziata la fase 2 della road map che si dovrebbe concludere con il cosiddetto ritorno alla normalità pre-covid. Dopo la riapertura delle scuole a metà marzo, solo ora che circa il 40% della popolazione è vaccinato si può di nuovo praticare sportiva attività all’aperto anche non individuale e, sempre all’aperto, si possono incontrare massimo sei persone di due famiglie diverse. Il 12 aprile invece riaprono i barbieri e pub e i ristoranti con servizio solo all’aperto. Il 14 maggio tocca agli alberghi, mentre il 21 giugno cesserà ogni misura restrittiva, fermo restando l’uso obbligatorio delle mascherine fino al verificarsi della situazione “zero-covid”.
Ci chiedevamo quando e come anche l’Italia potrà intravedere un nuovo inizio. Per quanto riguarda il “come” uscire dal tunnel l’esempio inglese ci dice che siamo molto lontani dal traguardo. Basti citare un caso come quello del Santuario Madonna di Fatima a Trani, dove il parroco, tale don Sabino, il 28 marzo si è fatto un selfie in chiesa con un centinaio di fedeli compreso il comandante della Polizia municipale.
Ci sono comportamenti fatui e scellerati come questo da sradicare ma c’è anche un piano vaccinale nazionale applicato molto male, come raccontano Cavalli e Filippi nella storia di copertina. Un esempio per tutti: a dispetto delle priorità stabilite nel piano solo il 55% degli ultraottantenni, le persone più a rischio morte causa-covid, al 30 marzo ha ricevuto almeno una dose. Peggio è andato ai 70-79enni (mortalità 9%): sono solo 104.558 quelli vaccinati.
Il “come” ne usciamo (rigide misure di mitigazione, responsabilità politica e dei cittadini, e vaccinazione di massa) porta con sé il “quando”. Qui la risposta è meno precisa. Nemmeno il traguardo del 21 giugno può indurre gli inglesi a eccessivo ottimismo a causa di due variabili: l’incognita della durata dell’efficacia dei vaccini disponibili e quella sull’evoluzione dell’epidemiologia delle varianti Sars-Cov2. La prima è oggetto di diversi studi ed entro breve si avranno informazioni più precise sulla durata dell’immunità.
La seconda invece è il vero punto cardine. Quando Paesi come la Gran Bretagna o Israele, oppure gli Usa, avranno completato i rispettivi piani di vaccinazione nazionale nemmeno loro potranno dire di aver vinto la guerra. Perché fino a quando l’epidemia non sarà contenuta ovunque il virus continuerà a circolare e a variare mettendo a dura prova i vaccini esistenti.
Sappiamo che a causa della razzia di vaccini da parte dei Paesi ricchi 9 persone su 10 nei Paesi poveri e a basso reddito, vale a dire oltre 4,5 miliardi di esseri umani, non potranno essere vaccinate entro il 2021. Se anche l’Italia dovesse raggiungere l’immunità di gregge entro l’autunno come emerge dalle ipotesi più ottimiste – non ultima una emersa da uno studio dell’Istituto superiore di sanità e ministero della Salute in collaborazione con la fondazione Kessler, non ancora sottoposto a peer review ma rilanciato da alcuni media nei giorni scorsi – oltre metà del Pianeta starà ancora affrontando a mani nude il Sars-Cov2. E le sue varianti saranno una minaccia per tutti.
“Anche se vi credete assolti siete lo stesso coinvolti” direbbe De Andrè. Per questo e per una questione di umanità noi di Left continuiamo a ribadire che va sostenuta l’Iniziativa dei cittadini europei “Nessun profitto sulla pandemia” per rendere i vaccini e le cure anti-pandemiche un bene pubblico globale, accessibile gratuitamente a chiunque. Ce ne parla in questo numero Vittorio Agnoletto. Si può aderire firmando qui. È un nostro diritto-dovere.
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