Non ha alcun senso bloccare interi settori produttivi per una «spasmodica difesa dell’aria e dell’ambiente». Lo ha detto nella plenaria del parlamento europeo l’eurodeputata leghista Simona Baldassare poco prima della votazione sulla risoluzione europea sulla qualità dell’aria.
L’onorevole del Carroccio, pugliese, di professione medico, ha cassato la proposta ambientalista in maniera compatta con il proprio partito e con il proprio gruppo parlamentare, Identità e Democrazia (Id), una delle due formazioni che a Strasburgo e Bruxelles raggruppa i partiti del Vecchio continente con posizioni di destra ed euroscettiche – oltre alla nostrana Lega, annovera tra i propri membri il francese Rassemblement National guidato da Marine Le Pen, la tedesca Alternativa per la Germania e l’austriaco Fpoe. A respingere il provvedimento è stata anche l’altra grande famiglia dell’ultradestra europea, Conservatori e Riformisti (Ecr) che per il nostro Paese vede l’adesione dei Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni (in allegra compagnia dei polacchi del Pis e degli ultra nazionalisti spagnoli di Vox).
Alla fine il testo è stato approvato a larga maggioranza, con 425 voti a supporto, 109 contrari e 153 astensioni. Totalmente a favore si sono schierati S&D, Renew Europe, la Sinistra e i Verdi, mentre il Ppe si è spaccato – una sua parte, tra cui gli italiani di Forza Italia, ha optato per l’astensione.
La normativa, fortemente voluta anche dalla Commissione Ue, chiede una migliore attuazione delle normative vigenti sulla qualità dell’aria e introduce nuovi limiti più stringenti per inquinanti non regolamentati come le particelle ultrafini, il black carbon, il mercurio e l’ammoniaca. La risoluzione esorta gli Stati membri e la Commissione a rispettare e far rispettare i target già stabiliti dalle altre direttive: molti degli Stati membri, infatti, non si conformano ancora pienamente agli standard previsti. Tra questi c’è anche l’Italia, condannata dalla Corte di Giustizia Ue per aver “sistematicamente” violato i livelli di Pm10 tra il 2008 e il 2017.
Il percorso intrapreso si inserisce all’interno di una strategia che ha come obiettivo principale quello di azzerare tutti i tipi di inquinamento e di stilare una lista che contenga sostanze e gas nocivi per l’ecosistema e la salute che ogni anno causano, secondo l’Agenzia europea per la qualità dell’aria, circa 400mila morti.
Ma i sovranisti europei non sentono ragioni e continuano ad opporsi a qualsiasi forma di introduzione di regole severe per la tutela dell’aria e dell’ambiente. Secondo l’europarlamentare tedesca Sylvia Limmer (Id), le morti per inquinamento atmosferico sono «sempre citate e mai provate». E alla fine ci dice che possiamo anche stare tranquilli, perché «l’aspettativa di vita continua a crescere». Anzi, si spinge oltre, e citando alcuni dati ci fa sapere che «il rischio di morire per il fumo dei camini interni è addirittura inferiore rispetto agli effetti del sesso non protetto».
Per Carlo Fidanza (Ecr, Fratelli d’Italia) è sbagliato invece «bastonare le imprese già gravate da tasse e burocrazia, ed è sbagliato colpire i cittadini che, per tanti motivi, non possono andare a lavoro in bicicletta o in monopattino». Forse la stoccata è anche rivolta alla leader del suo partito, che in un passaggio parlamentare dello scorso novembre ha attaccato il bonus mobilità dell’allora in carica governo giallorosso, colpevole a suo parere di preoccuparsi «solo di chi abita in via Condotti».
La destra italiana ed europea storse il naso già a inizio 2020, quando l’Eurocamera espresse la propria posizione favorevole sul Green Deal – la strategia europea per decrementare le emissioni e rendere l’Europa un continente “climaticamente neutro” entro il 2050. All’epoca sia Id che Ecr votarono contro la road map verde, e lo stesso fecero anche nel marzo dello stesso anno, con la pandemia che incombeva, andando in direzione ostinata e contraria alla decisione degli altri colleghi di Strasburgo di approvare una legge europea sul clima e un nuovo target più ambizioso di riduzione dei gas serra (dal 40% al 60% entro il 2030 sui livelli del 1990, poi ridimensionato a 55% dalla Commissione Ue).
In occasione del voto sul Green Deal, Silvia Sardone, compagna di partito di Salvini, condannò l’approccio ideologico «anche un po’ succube degli slogan di Greta» dell’Europa. «Questa non è a tutela dell’ambiente» ha concluso poi Sardone «ma è un’ideologia ambientalista fatta da burocrati europei». La legge passò, comunque a larga maggioranza, con 392 voti favorevoli, 161 contrari, 142 astenuti, nonostante il muro dei sodali delle Le Pen, dei Wilders e dei Salvini.
Ma in realtà l’allergia di populisti e sovranisti alle proposte green risale già al 2016, quando fu ratificato l’Accordo di Parigi sul clima, giudicato dagli stessi nemico della sovranità nazionale: buona parte di loro votò contro sia al Parlamento europeo che in quelli statali.
Un dossier del think tank tedesco Adelphi, uscito poco prima delle elezioni europee del maggio del 2019, dimostra come nelle risoluzioni chiave sulle tematiche ambientali ed ecologiche approvate al Parlamento Ue nella scorsa legislatura, buona parte delle formazioni di ultradestra – dalla tedesca AfD, all’olandese Pvv, dall’Ukip britannico, alla Lega italiana, dai lepenisti francesi ai veri finlandesi – si sia sempre fermamente opposta. I deputati nazionalisti nel Parlamento europeo, che nella legislatura 2014-2019 pesavano circa il 15%, hanno contribuito con circa la metà dei voti complessivi all’opposizione nei confronti delle politiche climatiche. E a quanto pare l’antifona non è cambiata nemmeno negli ultimi due anni. C’è proprio una brutta aria che tira da quelle parti.