Elicotteri di sorveglianza, mitragliatrici spianate, carri armati che appaiono lungo i viali alberati del centro città. Così Niamey, capitale del Niger, ha accolto decine di delegazioni diplomatiche venute – lo scorso 2 aprile – a festeggiare un evento storico per il Paese e non solo: la prima transizione democratica nella storia dello Stato africano, abituato a colpi di Stato e governi d’emergenza.
«Sono tutti qui, tanto che nessuno è andato ad assistere all’investitura del nuovo presidente della Repubblica Centrafricana», scherza un funzionario nei corridoi dell’immenso centro conferenze Mahatma Gandhi, dono interessato della cooperazione indiana.
Processioni di sirene, Mercedes dai vetri oscurati e scorte di polizia, immettono senza sosta sul tappeto rosso alti dignitari di almeno venti Paesi. Quasi tutti africani: il presidente del Senegal Macky Sall, George Weah (sì, l’ex giocatore del Milan) che guida la Liberia, Nana Akufo-Addo del Ghana, il primo ministro algerino Abdelaziz Djerad e colleghi di Mali, Ciad, Sudan, Libia, Ruanda, Mauritania.
Due i nomi non africani…
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