L’incagliamento della Ever Given ha ribadito la centralità del canale di Suez nell’economia mondiale. Ma così ne ha forse decretato il fallimento. Portando con sé anche i sogni di gloria del regime. E dando una nuova prospettiva alle antiche rotte di circumnavigazione dell’Africa

Nella seconda metà del XIX secolo l’orizzonte che appariva alle navi in transito a Suez era piuttosto simile a quello che decine di portacontainer si sono trovate di fronte a fine marzo, quando i 400 metri di lunghezza e le 220mila tonnellate della Ever Given hanno bloccato il Canale per una settimana: lunghe attese per transitare. All’epoca quell’istmo di mare era minuscolo se paragonato all’oggi. Nei suoi primi anni di vita, dopo il 1869, passava una nave alla volta.

Il concetto di velocità dei trasporti e immediatezza delle consegne era di certo ben diverso. Navi più piccole, materiali non deperibili, lunghi viaggi da una parte all’altra del globo. All’epoca per attraversare l’intero Canale si impiegavano circa 40 ore. Ora ne bastano dieci.

A scorrerne la storia, se ne capisce la centralità: già quattromila anni fa, l’istmo venne scavato dagli egizi per collegarne i laghi naturali. L’idea di “aprirlo” ce l’ebbe per primo Alessandro Magno, poi i romani che lo allargarono per facilitare gli spostamenti dal delta del Nilo al Mar Rosso. L’idea di un’apertura vera e propria arriva con l’occupazione francese di Bonaparte. Sarà realizzata mezzo secolo dopo dal diplomatico De Lesseps su concessione del reggente egiziano Sa’id Pascià: il 17 febbraio 1867 passa la prima nave. Il 44% è di proprietà egiziana (pochi anni dopo passa ai britannici, Il Cairo era sommerso di debiti), il resto francese.

Da allora il Canale di Suez ha trasformato il…


L’articolo prosegue su Left del 9-15 aprile 2021

Leggilo subito online o con la nostra App
SCARICA LA COPIA DIGITALE

SOMMARIO