Nei suoi libri lo scrittore affronta vicende umane su cui in genere viene steso un velo d’oblìo. E invece, osserva, queste storie servono «a ribaltare gli stereotipi, a cambiare punto di vista». Perché la letteratura ha anche la funzione di avvicinare le persone e creare empatia

Bravo come pochi a raccontare l’ordinarietà della vita quotidiana, quel battito che scandisce un tempo uguale per tutti, il più esistenziale, cruciale in una esistenza, Marco Balzano nel suo nuovo romanzo Quando tornerò (Einaudi), affronta la storia di una famiglia rumena dentro la meccanica dei rapporti parentali, nei traumi psicologici che seguono la scelta di una madre di lasciare un piccolo paese di campagna della Romania orientale al confine con la Moldavia per venire a vivere in Italia a Milano, dove farà la badante. Un libro dai toni neorealistici, di grande forza espressiva e rigore stilistico.

Hai di recente affermato che è importante mettere da parte l’io privato e raccontare storie civili. Come quella che racconti nel tuo ultimo libro, un romanzo a tre voci sulle ferite esistenziali, famigliari, provocate dall’emigrazione femminile. Come è nata l’idea del romanzo e perché persegui sin dall’inizio della tua condotta un’idea di letteratura d’impegno civile?
Non intendo dire che sia importante in senso assoluto, per fortuna si può fare letteratura in infiniti modi: da lettore, ad esempio, mi piacciono libri molto diversi da quelli che cerco di scrivere. Dico che la letteratura che sta a cuore a me racconta delle storie che nascono da questioni trascurate o silenziate dal discorso politico e culturale. Mi entusiasma raccontare quelle storie che, per molte ragioni, preferiamo non guardare, che il sistema tende ad obliare perché conoscerle implicherebbe un ripensamento degli stereotipi, un cambiamento del punto di vista, l’adozione di un atteggiamento più complesso, un riconoscimento di responsabilità. Esiste, a mio avviso, un’intelligenza narrativa, una capacità euristica che le storie possiedono, capace di generare comprensione e conoscenza attraverso la seduzione del racconto e l’avventura delle vicende umane. Non sono molto interessato alle etichette, dunque non mi importa essere uno scrittore “civile” per partito preso. Semmai mi interessa l’etica della scrittura: il modo di usarla e la postura da assumere quando si scrive, che per come la intendo io implica lo studio e l’ascolto e solo in ultima istanza la scrittura e l’uso della fantasia. Se questi ingredienti caratterizzano uno scrittore civile (o politico), allora lo sono. Ma l’unica cosa a cui voglio restare fedele è l’ascolto dell’urgenza espressiva: scriverò storie di questo genere finché ne sentirò la necessità e riuscirò a entrare in contatto con questioni che avverto come una ferita e che sanno muovere il mio desiderio di conoscenza e di immedesimazione. Però se un giorno mi sorprendesse la necessità di scrivere, per esempio, un romanzo psicologico o di tornare a…


L’articolo prosegue su Left del 23-29 aprile 2021

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