Nel suo nuovo album, affiancata dal tubista Michel Godard, la musicista romana racconta il particolare momento storico in cui viviamo, selezionando sonorità originali. Un viaggio dove si incontrano migranti e rivoluzionari senza armi

Musicista – senza ulteriori e forse inutili aggettivi – questa è la giusta definizione per un’artista come Ada Montellanico, laddove “cantante di Jazz”, seppure formalmente corretto, risulta senz’altro riduttivo rispetto allo spessore del personaggio. Ada, ormai da molti anni, è il vero direttore musicale di tutti i suoi progetti, discografici e non, nonché compositrice, autrice di testi ed interlocutore unico degli arrangiatori che volta per volta la affiancano nei suoi lavori. Lo dimostra la sua lunga ed approfondita ricerca nell’universo poetico di Luigi Tenco, nonché le molteplici collaborazioni di altissimo livello con musicisti del calibro di Jimmy Cobb, Enrico Rava, Lee Konitz, Enrico Pieranunzi, Giovanni Falzone e tantissimi altri. Inoltre è da sempre impegnata in prima linea a livello sociale, politico ed istituzionale in difesa dei diritti degli artisti e dei lavoratori dello spettacolo, essendo stata tra l’altro fondatrice e per quattro anni presidente del Midj – Associazione nazionale dei musicisti di jazz – con la quale ha anche partecipato all’organizzazione dell’ultima edizione di “Jazz italiano per le Terre del sisma” svoltasi a L’Aquila lo scorso settembre. L’abbiamo incontrata in occasione dell’uscita proprio in questi giorni della sua ultima fatica discografica, l’album We Tuba – featuring Michel Godard, inciso per la Incipit records.

Raccontaci di come è nata l’idea di questo progetto.
L’idea è partita da lontano, quando nell’autunno del 2019, in occasione del festival italo-francese “Una striscia di terra feconda”, coordinato da Paolo Damiani, ho avuto l’occasione di collaborare con Michel Godard, grande musicista, oltre che virtuoso del basso tuba. Avendo da sempre un debole per l’organizzazione di ensemble “asimmetrici” arricchiti dall’inserimento di strumenti poco usuali, è nato pian piano questo progetto, cui si sono aggregati volta per volta quattro musicisti con i quali si era stabilito negli ultimi anni un legame non solo artistico, ma anche un comune impegno umano, civile e politico in difesa del ruolo e della dignità dei musicisti nel difficile momento che stiamo vivendo. In primis Francesco Ponticelli al contrabbasso, con il quale avevo già a lungo collaborato, che ha scritto ben quattro dei nove brani del disco, dando altresì il suo decisivo apporto alla definizione complessiva del progetto; poi Simone Graziano al pianoforte, con cui c’era stato fino ad allora un forte sodalizio “militante” (Simone è il mio successore alla guida del Midj) che è finalmente sfociato in una collaborazione artistica, con l’apporto di due sue composizioni, ed infine ha completato l’organico l’arrivo di…


L’intervista prosegue su Left del 7-13 maggio 2021

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