Tra le istituzioni culturali che ricevono ingenti fondi pubblici ce ne sono diverse che hanno alle spalle gruppi industriali e finanziari o che fanno capo alla Chiesa. E in alcuni casi non è chiara l’entità del patrimonio, un aspetto che la legge chiede invece di esplicitare

Il 16 aprile è uscito lo Schema di decreto ministeriale con la tabella delle istituzioni culturali da ammettere al contributo ordinario dello Stato per il triennio 2021-2023. Un decreto previsto dalla legge 534/1996 che prevede finanziamenti per gli Istituti culturali che abbiano precisi requisiti a partire da un notevole patrimonio archivistico e bibliografico da mettere a disposizione di tutti. Dalle utenze, agli stipendi del personale, alle spese per garantire la conservazione e l’incremento di tale patrimonio, tutto o quasi dipende da questi contributi.

La legge individua chi può presentare le domande. Chi ha i requisiti viene incluso in una tabella del ministero della Cultura sottoposta a revisione ogni tre anni e inviata alle commissioni parlamentari competenti. Per essere inseriti nella tabella, le istituzioni culturali debbono: «Essere istituite con legge dello Stato, svolgere compiti stabiliti da detta legge o avere personalità giuridica; non avere fini di lucro; svolgere in modo continuativo attività di ricerca e di elaborazione culturale documentata e fruibile; disporre di un rilevante patrimonio documentario (bibliografico, archivistico, museale, cinematografico, audiovisivo), pubblicamente fruibile in forma continuativa; fornire servizi di rilevante ed accertato valore culturale, collegati all’attività di ricerca ed al patrimonio documentario; sviluppare attività di catalogazione e applicazioni informatiche finalizzate alla costruzione di basi di dati rilevanti per le attività di programmazione dei ministeri competenti nei settori dei beni culturali e della ricerca scientifica; operare sulla base di una programmazione almeno triennale; documentare l’attività svolta nel triennio precedente … ; disporre di sede idonea ed attrezzature adeguate. Per il primo inserimento in tabella è prescritto che le istituzioni siano costituite e svolgano attività continuativa da almeno 5 anni». Questo recita l’articolo 2 della legge. Nei seguenti articoli, che tengono conto di circolari successive e aggiornamenti, si stabiliscono dei punteggi. Più alto è il punteggio più si ha diritto a ottenere fondi.

Sono 210 le istituzioni, secondo lo staff dell’ineffabile ministro Dario Franceschini, che hanno raggiunto quello necessario. Di domande ne erano state presentate 283, 148 di istituzioni già sostenute nel triennio passato.
Colpisce la distribuzione geografica: oltre il 90% dei fondi (17.613.433 euro annui) vanno al Centro nord, mentre al Sud e isole solo un milione e 761 mila euro. Delle due l’una: o città che vantano immensi patrimoni culturali come Napoli, Palermo, Bari, Matera, Cagliari (per citare le più note) non hanno istituzioni adeguate (e allora non si capisce come mai i governi e i ministeri competenti non abbiano trovato il tempo per stimolarne la nascita e lo sviluppo), oppure il Mezzogiorno è stato penalizzato da…


L’articolo prosegue su Left del 7-13 maggio 2021

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