Circa 270 persone affidano i loro sogni e la loro esistenza alla capacità di resistere di alcuni vecchi gommoni. Salpano dalle coste di Tripoli. Alle loro spalle, i tormenti e le mostruosità che si vivono in un lager per migranti. Ma, dopo una ventina di ore di navigazione, sono alla deriva. I profughi chiamano l’Italia, per lanciare l’Sos. Una motovedetta libica, la Zwara, interviene per recuperarli. Ma la nave è troppo carica.
Allora interviene un mercantile italiano, l’Asso ventinove, di proprietà della Augusta offshore, che operava nei paraggi a supporto delle piattaforme petrolifere presenti in quel tratto di mare. È notte. I viaggiatori, in teoria, hanno compiuto la loro missione. Si trovano su un’imbarcazione battente bandiera tricolore. In acque internazionali. Sono in Italia.
Avrebbero diritto a chiedere asilo. A loro viene comunicato che si arriverà nel Belpaese. «Adesso dormite», gli dicono. E alcuni si addormentano. Il loro risveglio però è un incubo. La nave commerciale approda a Tripoli. Fine del viaggio.
I passeggeri vengono internati nei lager di Tarek al Mattar e Triq al Sikka. Dove torture, stupri e privazioni sono all’ordine del giorno. Tra di loro (si stima la presenza di 29 donne e 54 minori) ci sono anche Josi, che avrebbe perso la vita poche settimane dopo in uno di quei luoghi infernali per una tubercolosi non curata, e Daya, incinta all’ottavo mese di Loni, che in uno di questi lager viene alla luce. Dai loro nomi deriva quello del collettivo che ha scoperto la vicenda di cui stiamo parlando: Josi e Loni project (Jlp).
I fatti riportati risalgono al periodo che va dal 30 giugno al 2 luglio del 2018. Somigliano molto a quelli di un caso “gemello”, quando il 30 luglio, un mesetto dopo, la Asso ventotto, parte della flotta del medesimo armatore, imbarca 101 profughi in acque internazionali decidendo di fare rotta verso la Libia. Quell’episodio, però, fa scalpore. Tg e quotidiani parlano a lungo della palese violazione del diritto di asilo.
A Napoli per questa vicenda è in corso un processo penale. L’altro episodio, quello di inizio luglio, per molti mesi rimane nascosto. Nessuno ne parla. Nessuno ha visto o sentito nulla. Il nostro settimanale, mettendo in fila le testimonianze e le prove raccolte dal collettivo animato dalla scrittrice e blogger Sarita Fratini, è il primo media a denunciare la vicenda. Forse i nostri lettori lo ricorderanno: “Deportati in Libia, storia di un respingimento segreto” era il titolo dell’inchiesta pubblicata su Left il 14 giugno 2019.
Da quel giorno, molti sono stati i passi in avanti nella ricerca della verità. Grazie anche all’impegno quotidiano, instancabile, di Sarita e del collettivo Jlp. Lo scorso febbraio cinque cittadini eritrei, cinque tra le persone deportate ad inizio luglio 2018, avviano un’azione legale presso il Tribunale civile di Roma, sostenuti dall’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) e da Amnesty international.
La causa viene intentata nei confronti dell’allora governo Conte I, con Matteo Salvini al ministero degli Interni, Danilo Toninelli ai Trasporti ed Elisabetta Trenta alla Difesa, del comandante della Asso ventinove, Corrado Pagani, e della compagnia Augusta offshore di Napoli. Una mossa che fa venire a galla molti nuovi elementi.
L’armatore della Asso ventinove avrebbe consegnato documenti in cui non solo viene ammesso il respingimento (non più) segreto, ma viene indicato anche il ruolo di coordinamento che avrebbero avuto le autorità militari italiane di stanza a Tripoli, a bordo della nave Caprera, e di quelle che partecipano all’operazione Mare sicuro, a bordo di nave Duilio. Secondo le carte, tra cui il diario di bordo della Asso ventinove, la Augusta offshore avrebbe preso ordini diretti dalla Marina tricolore. Sarebbe stata l’Italia…
Leggilo subito online o con la nostra App
SCARICA LA COPIA DIGITALE