La legge regionale sul territorio è sotto attacco. Il parere della promotrice della norma

La coalizione di centrosinistra al governo della Regione Toscana nella legislatura 2010-15 qualcosa di sinistra l’aveva realizzato. Una nuova legge sul “governo del territorio” e un piano paesaggistico che insieme fissavano principi e definivano strumenti operativi per contenere gli interessi fondiari e immobiliari privati privilegiando l’interesse collettivo: il contrasto al consumo di suolo, la qualità del paesaggio quotidiano come questione sociale e politica, la corresponsabilità di Comuni e Regione nel garantire il buon governo. Promuovendo procedure trasparenti delle quali rendere conto, monitorandone gli esiti, garantendo la partecipazione dei cittadini sia nella redazione dei nuovi piani urbanistici che in tutti gli interventi rilevanti, anche di rigenerazione urbana.

Non era stato semplice, in un contesto politico comunque fortemente ancorato alla rappresentanza dei diversi interessi economici locali. Il dibattito aspro e infido relativo alle cave delle Apuane e ai grandi impianti di nuovi vigneti rappresentava soltanto la punta di un enorme iceberg, evitato solo grazie a un grande lavoro delle rappresentanze politiche più avvertite, e a una straordinaria mobilitazione delle associazioni civiche e ambientali. Quando Renzi, già sindaco di Firenze, nel febbraio 2014 era diventato presidente del Consiglio dei ministri, la strada s’era fatta ulteriormente in salita. Soprattutto per il Piano paesaggistico, approvato agli sgoccioli della legislatura grazie anche al contributo della sottosegretaria Borletti e del ministro Franceschini.

«La nostra risposta politica [per porre un freno all’inerzia delle scelte e alla rendita immobiliare] è stata il Piano del paesaggio e la nuova legge sul governo del territorio», scrive nel 2016 Enrico Rossi, il presidente che comunque in questa riforma aveva creduto, e senza il quale non sarebbe stata possibile. Ma anche un politico di lungo corso non particolarmente rivoluzionario come Gianfranco Venturi, allora presidente della commissione consiliare Ambiente e territorio, aveva salutato l’approvazione della nuova legge 65/2014 come un atto «che pone oggi la Toscana in primo piano nelle politiche di difesa del suolo e buon governo del territorio». Non erano esaltazioni improprie, in un contesto nazionale che andava in direzione opposta, e in un Partito democratico dove le politiche emiliane di riduzione della pianificazione del territorio a negoziazione con gli interessi privati non facevano problema.

Oggi questa riforma coraggiosa, già resa zoppicante da mancate attuazioni e ripetute modifiche, corre il rischio di essere definitivamente azzerata. Nella campagna per le elezioni regionali Italia Viva aveva promesso di smontarla. La nuova giunta Giani traveste ora l’ennesima proposta di modifica della legge di governo del territorio da atto dovuto per il recepimento di normative nazionali, con contenuti davvero sconcertanti: rinuncia a verificare gli effetti territoriali dei piani settoriali e a garantire conseguentemente l’integrazione delle diverse politiche, legittimazione degli aumenti di volume per gli edifici localizzati in aree a rischio idrogeologico, proroga delle previsioni urbanistiche non utilizzate che dopo cinque anni non possono più essere cancellate, e così via. Una serie di portatori di interessi privati, ovviamente, plaude all’innovazione.

A Enrico Rossi era ben chiaro come, di fronte a un referendum che si proponeva di riportare in capo allo Stato tutte le competenze in materia di governo del territorio, qualificare l’azione regionale in questo campo fosse decisivo per difenderne le competenze. E queste competenze sono in effetti tuttora condivise fra lo Stato, che dovrebbe dettarne i principi, e le Regioni, che hanno il potere di declinare i principi in legislazioni proprie. La Toscana sta buttando progressivamente alle ortiche il credito conquistato al riguardo, e non sembra nemmeno farlo in modo consapevole.

Se le competenze regionali vengono esercitate in questo modo, tanto vale che lo Stato se le riprenda.

*L’autrice: Anna Marson, già assessore regionale toscana all’urbanistica e pianificazione, è professore ordinario di Pianificazione del territorio presso l’​Università IUAV di Venezia


L’articolo è tratto da Left del 4-10 giugno 2021

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