Oltre duecento persone a Torino sono scese in piazza per chiedere giustizia per il giovane guineano morto suicida nel Centro di permananza per il rimpatrio di corso Brunelleschi

In piazza Castello a manifestare per primi sono stati i giuristi. Avvocati in toga che domenica 6 giugno a Torino si sono mobilitati per chiedere l’immediata chiusura dei Cpr, i famigerati Centri di permanenza per i rimpatri. «Sono buchi neri, in cui le persone all’interno capiscono di non essere già più in Italia perché i loro diritti qui non esistono» racconta Lorenzo Trucco, avvocato e presidente di Asgi, Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, fra gli organizzatori della protesta che ha portato oltre duecento persone davanti alla Prefettura torinese per denunciare la morte di Moussa Balde, 23 anni, suicidatosi nella notte tra il 22 e il 23 maggio nel Cpr di corso Brunelleschi.

La sua vicenda è un tragico simbolo del totale fallimento delle politiche migratorie nazionali. In Italia dal 2017 per sfuggire a fame e terrore in Guinea, in un anno Balde ottiene la licenza media ma nulla cambia per lo Stato, la protezione internazionale non arriva, i giorni diventano mesi che diventano anni. Nessun progetto, nessuna reale possibilità di integrazione. Poi il pestaggio selvaggio a Ventimiglia il 9 maggio ad opera di tre persone, indagate a piede libero. Le immagini girate da un cittadino con il telefono sono un pugno nello stomaco. Moussa finisce in ospedale e quindi deportato al Cpr di Torino, l’inferno che precede l’espulsione. Da persona lesa diventa in un attimo, data la sua condizione di clandestino, soggetto da cacciare.

«Gabbie come pollai, situazioni non degne di un paese civile – prosegue Gianluca Vitale, avvocato che ha potuto incontrare due volte Moussa Balde – i Cpr vanno chiusi immediatamente prima di dover piangere altre vittime».

«L’indignazione e il dolore ci hanno portato qui in piazza oggi – conclude Trucco – e la scelta di farlo con le nostre toghe è per riaffermare il rispetto dei diritti democratici che in questa circostanza come in molte altre tragicamente simili sono stati totalmente ignorati. Non è possibile venire costretti in un luogo di reclusione senza aver commesso alcun reato, si tratta di un abominio giuridico cui la storia ci chiederà conto».

Sei morti nei Cpr italiani dal 2019. Una lista lunghissima di irregolarità denunciate a più riprese dai vari Garanti per le persone detenute. Diritti ripetutamente e sistematicamente calpestati. Udienze per le convalide dei trattenimenti che durano mediamente meno di cinque minuti e nel 98% dei casi si concludono con la prosecuzione del fermo. Qualcosa di serio si è inceppato nel sistema giuridico italiano.