Responsabile ma non complice. Con questa “formula” il presidente Macron, direttamente da Kigali, ha ammesso che la Francia ha avuto un ruolo chiave nel genocidio ruandese del 1994. Sincero “pentimento” o lucido tentativo di recuperare l’influenza perduta nel continente?

“Finalmente, il tempo è venuto”. Così titola l’articolo in prima pagina il giornale francese Le Monde per raccontare la visita del presidente Emmanuel Macron a Kigali, il 27 maggio scorso. Ventisette anni dopo il genocidio dei Tutsi in Rwanda, avvenuto nel 1994 e andato avanti ininterrottamente per 104 giorni, il presidente francese nel parco del Genocide Memorial ha pronunciato un discorso per ricordare – «Ibuka», “ricordati” in lingua locale, ha ripetuto quattro volte – le vittime e salutare i sopravvissuti. Non solo. Ha riconosciuto le responsabilità del governo francese, allora guidato da François Mitterrand, nell’appoggiare il regime genocidiario ed estremista Hutu. Citando un debito verso le vittime, Macron ha espresso la speranza di «uscire da questa notte e camminare di nuovo insieme».
«Su questa strada – ha aggiunto – solo chi è passato nella notte può perdonare, e farci il dono, poi, di perdonarci».

In quei giorni dell’oblio, in cui un’intera popolazione è stata uccisa, dunque, Parigi non si sarebbe limitata a commettere i «gravi errori» già ammessi nel 2010 da Nicolas Sarkozy, ma avrebbe altre responsabilità che, ventisette anni dopo, spingono l’Eliseo ad ammettere le sofferenze inflitte ai ruandesi. Ma forse, le uniche parole davvero decise di questo discorso sono quelle che coinvolgono una promessa politica che, in passato, ha avvelenato le relazioni bilaterali tra i due Paesi: l’impegno di proseguire un’opera di giustizia affinché nessuna persona sospettata di crimini di genocidio possa sfuggire.

Macron fa evidente riferimento agli esuli ruandesi in Francia additati da tempo da Kigali per il loro ruolo nei massacri. Un’opera iniziata già nel maggio del 2020, quando il ministero della Giustizia francese aveva comunicato l’arresto di Félicien Kabuga, il criminale più ricercato in Rwanda. Sulla sua cattura gli Usa avevano posto una taglia di 5 milioni di dollari. L’uomo viveva nel piccolo Comune francese della regione dell’Île-de-France sotto falsa identità. Stando all’International residual mechanism for criminal tribunals (Irmct) dell’Onu, nel 1997 Kabuga era stato incriminato per sette capi di accusa tra i quali: genocidio, complicità in genocidio e istigazione al genocidio. Macron, poi, sigilla il patto bilaterale con il Rwanda annunciando l’imminente nomina d’un nuovo ambasciatore in Rwanda, un posto rimasto vacante dal 2015 sullo sfondo della fase più tempestosa nelle relazioni fra i due Paesi.
Un lavoro di ammissione iniziato però ben prima della…


L’articolo prosegue su Left dell’11-17 giugno 2021

Leggilo subito online o con la nostra App
SCARICA LA COPIA DIGITALE

SOMMARIO