La scoperta di una fossa comune con i resti di 215 bambini ha riportato sulle prime pagine la tragedia che si è consumata per quasi un secolo nelle Residential school dove i figli dei nativi canadesi venivano deportati per essere “rieducati” secondo «i valori cristiani e la cultura occidentale»

Era solo questione di tempo. Il ritrovamento di una fossa comune con i resti di 215 bambini nei pressi di una cosiddetta Residential school per nativi canadesi della British Columbia ha scosso e indignato l’opinione pubblica mondiale ma ha sorpreso solo coloro che non conoscono o hanno “dimenticato” l’orrenda storia del genocidio canadese. Difatti la scoperta delle piccole ossa di scolari appartenenti alla comunità dei Tk’emlups te Secwepemc, avvenuta nell’ultima settimana di maggio nei pressi della Kamloops indian residential school, non solo squarcia il velo di omertà e complicità su una realtà agghiacciante di cui i nativi canadesi che abitano nell’area di Kamloops sospettavano da decenni, ma si aggiunge a decine di altre scoperte simili avvenute nei primi anni Duemila in Canada e documentate dalle commissioni d’inchiesta governative che nel 2007 e nel 2015 hanno ricostruito gran parte della storia iniziata nel 1874 con l’emanazione dell’Indian act.

Con questo documento redatto insieme ai rappresentanti della Chiesa cattolica, anglicana e battista e fondato sulla “idea” di inferiorità legale e morale degli indigeni, il governo canadese istituì il sistema delle Residential school. Tra le mura di questi istituti per circa 80 anni in Canada sono stati trasferiti circa 150mila bambini figli di indiani nativi delle Prime nazioni (Inuit, Metis etc) per «assimilarli alla cultura dominante» e «farli diventare veri canadesi». In tutto sono state coinvolte almeno 139 scuole; di queste, 79 erano in capo alle diocesi cattoliche e gestite da ordini religiosi. Tutti gli istituti, missionari e non, erano concepiti per sradicare le tradizioni indiane e insegnare, con le buone, o con le cattive, gli usi e i costumi dei bianchi.

Chi varcava l’ingresso di una Residential school era costretto a parlare solo inglese, a dimenticare la propria cultura e a rinunciare alla propria religione per professare quella cristiana e cattolica. I genitori che si ribellavano all’Indian act e alla sottrazione coatta dei figli venivano “convinti” dalle autorità a cedere oppure fatti sparire. Dalle inchieste è emerso che almeno 50mila minori nell’arco di un secolo hanno subìto violenze psicofisiche e sessuali, elettroshock, sterilizzazioni da educatori e insegnanti. Non si contano le ragazze stuprate e costrette ad abortire, né si sa quanti sono i morti o coloro che sono impazziti in seguito alle violenze. Le scuole residenziali sono state chiuse a partire dal 1969, ma l’ultima ha cessato di funzionare soltanto nel 1996.

La Kamloops indian residential school era la più grande del sistema di “rieducazione” canadese. Aperta nel 1890, la scuola contava fino a 500 studenti quando le iscrizioni raggiunsero il picco negli anni Cinquanta. È stata gestita dalla Chiesa cattolica fino al 1969, dopo di che è…


L’articolo prosegue su Left dell’11-17 giugno 2021

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SOMMARIO

Scrivevo già per Avvenimenti ma sono diventato giornalista nel momento in cui è nato Left e da allora non l'ho mai mollato. Ho avuto anche la fortuna di pubblicare articoli e inchieste su altri periodici tra cui "MicroMega", "Critica liberale", "Sette", il settimanale uruguaiano "Brecha" e "Latinoamerica", la rivista di Gianni Minà. Nel web sono stato condirettore di Cronache Laiche e firmo un blog su MicroMega. Ad oggi ho pubblicato tre libri con L'Asino d'oro edizioni: Chiesa e pedofilia. Non lasciate che i pargoli vadano a loro (2010), Chiesa e pedofilia, il caso italiano (2014) e Figli rubati. L'Italia, la Chiesa e i desaparecidos (2015); e uno con Chiarelettere, insieme a Emanuela Provera: Giustizia divina (2018).