Risorse energetiche, infrastrutture, scambi economici, progetti di cooperazione e azioni militari. Italia e Francia si sfidano per “ri-conquistare” la supremazia non solo diplomatica nel nord Africa. Ma devono fare i conti con Cina, Usa e Russia e con potenze emergenti come Turchia, Iran e alcuni Paesi del Golfo

La ripresa economica post pandemica sta facendo intravedere importanti cambiamenti nello scenario internazionale. Le tradizionali potenze europee che da decenni, in maniera spregiudicata, attuano soprattutto in Africa politiche neocoloniali (in particolare Francia e Italia), debbono fare i conti con attori già dominanti nelle aree di interesse strategico, come Cina, Usa e Russia e con potenze in espansione come Turchia, Iran e Paesi del Golfo. Sono sommovimenti che comprendono azioni militari, scambi economici, progetti di “cooperazione e partenariato”, interventi che agiscono sul piano del simbolico, in cui non è estraneo il ruolo svolto dalle nuove tecnologie e dai mezzi di comunicazione.

È l’azione del mercato globale in un gigantesco “risiko” che è da considerare come un “colonialismo 4.0”. Quello di cui disponiamo sono solo parti di un puzzle che dobbiamo ricomporre. Una premessa è necessaria e riguarda il ruolo dell’Ue: si preparano interventi riguardanti i percorsi migratori e progetti di cooperazione mentre gli stessi Stati membri, per conto proprio, agiscono, a volte di comune accordo, altre in concorrenza, per stipulare accordi più vantaggiosi con le aree interessate. Il “caso libico”, di cui più volte abbiamo scritto, è da manuale. Nella fase che dovrebbe portare il Paese, si spera pacificato, alle elezioni del 24 dicembre, la presenza ingombrante turca in Tripolitania è un ostacolo enorme.

Il governo italiano, sin dalla nomina del premier ad interim Dbeibah, si è prodigato in missioni diplomatiche che hanno visto tanto il ministro degli Affari esteri Luigi Di Maio che il presidente del Consiglio Mario Draghi, protagonisti. In un incontro ad aprile, a Tripoli, si sono definiti accordi che riguardano il ruolo dell’Eni (la Libia vuole arrivare a produrre 3 milioni di barili di greggio al giorno), la ricostruzione dell’aeroporto di cui si occuperà il consorzio Aeneas, gli interventi per il sistema sanitario libico e quello delle telecomunicazioni. Libia e Paesi limitrofi dovrebbero essere inseriti in “BlueMed”, la realizzazione di un immenso cavo sottomarino che collegherà la Liguria all’India, passando per la Sicilia. L’Italia è stato il solo Paese occidentale, dopo la guerra del 2011, a mantenere l’ambasciata a Tripoli e il clima che si respira oggi fra i…


L’articolo prosegue su Left dell’11-17 giugno 2021

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