«È basilare avere un’idea teorica su base scientifica che imposti culturalmente la prassi per fare prevenzione sugli adolescenti» dice la psichiatra e psicoterapeuta Francesca Fagioli. Ma in Italia il 90% delle risorse sono assorbite dall’assistenza ai malati cronici

Psichiatra e psicoterapeuta che da anni lavora nel servizio pubblico Francesca Fagioli si occupa in particolare dello sviluppo psicologico del bambino e dell’adolescente e delle patologie che possono insorgere in quella fase delicata della vita. Docente della scuola di psicoterapia Bios Psychè e componente del comitato editoriale della rivista scientifica Il Sogno della Farfalla, a lei ci siamo rivolti per capire come potrebbe essere potenziato il servizio sanitario per la salute mentale dedicato agli adolescenti, e cosa si potrebbe fare di più e meglio per la prevenzione.
Professoressa Fagioli, alla luce della sua esperienza anche in progetti di avanguardia per le acuzie, reputa sufficienti le cosiddette strutture di “primo intervento”?
In Italia il Servizio sanitario per la salute mentale dedicato agli adolescenti è sicuramente poco rappresentato e distribuito a macchia di leopardo sul territorio nazionale, non inserito in un programma condiviso ma lasciato a iniziative territoriali anche se molte di queste sono all’avanguardia.
In che modo andrebbe implementato e migliorato il Servizio sanitario per la salute mentale dedicato agli adolescenti?
Sarebbe importante usare le buone esperienze dei progetti esistenti considerandoli pilota per replicarli in tutti i servizi come modelli da applicare su basi scientifiche che rispondano ai criteri di efficienza ed efficacia. La ricerca, la clinica, la distribuzione delle risorse e l’organizzazione dei servizi dovrebbero lavorare in modo condiviso per lo stesso obiettivo. Fondamentale è avere un’idea teorica su base scientifica che imposti culturalmente la prassi operativa.
Quanto è importante la presenza degli sportelli d’ascolto nelle scuole?
Lo sportello di ascolto nelle scuole è una risorsa fondamentale per il lavoro di prevenzione. È fruibile da parte degli studenti ma anche dai docenti e dai genitori. Nel corso del tempo si è modificata l’idea, legata allo stigma, che chi accedeva al “Cic” così era chiamato, era un soggetto malato, un po’ “fuori di testa”. Ormai da vari anni i ragazzi che vengono allo sportello di ascolto sono adolescenti curiosi che pongono domande, alcune volte portatori di un malessere psicologico, altre volte preoccupati per un amico sofferente, ma comunque senza alcun senso di vergogna o d’imbarazzo nel venire a parlare con un operatore della salute mentale sia esso psicologo, infermiere o psichiatra.
Con la didattica a distanza si è potuto sopperire a questo strumento?
Durante la Dad, dopo un’iniziale difficoltà, con l’aiuto fondamentale della scuola che ha saputo organizzarsi, le richieste sono diventate numerose, sia su segnalazioni del personale scolastico sia direttamente, per lo più legate a situazioni di ritiro scolastico, ma anche di cyberbullismo e disturbi del comportamento alimentare, con un incremento di richiesta da parte dei genitori, preoccupati, quasi “svegliati”, essendosi resi conto di essere parte attiva dello sviluppo psicologico dei figli. Lo sportello d’ascolto è una possibilità, un’opportunità, se l’operatore non risponde, non suscita simpatia, lo studente si alza e va via ma se trova una risposta e non solo un ascolto si crea un sottile filo che permette di intercettare le situazioni a rischio e individuare precocemente il malessere nascosto. Altre volte, più semplicemente, una spinta all’autostima dà una marcia in più per affrontare la crisi del momento.
È vero che in Italia la salute mentale a livello pubblico è pensata quasi esclusivamente per gli adulti? Perché? Con quali conseguenze?
Le risorse della salute mentale per il 90 per cento sono destinate all’assistenza della cronicità, troppo poche quelle per l’acuzie e per la prevenzione. I servizi per adolescenti, per troppo tempo divisi dall’età in servizi di neuropsichiatria infantile e Centri di salute mentale adulti, nella veste nuova di servizi specifici per adolescenti, faticano a trovare applicazione. È necessario operare un cambio di paradigma che investa sulla prevenzione e sull’intervento precoce attraverso programmi di promozione della salute mentale, principalmente nelle scuole di ogni ordine e grado perché il malessere psicologico che esordisce in adolescenza ha le sue radici nella prima infanzia. Fondamentale intervenire quando la malattia mentale è ancora curabile e sui fattori e le relazioni che ne condizionano l’evoluzione.
I dati degli ultimi giorni dicono che usciamo da un anno e mezzo di pandemia con un milione in più di poveri rispetto a prima dell’emergenza sanitaria. Tantissime famiglie sono alle prese con la crisi economica e la perdita del lavoro. E la politica non sembra in grado di dare adeguate risposte ai bisogni e alle esigenze dei giovani. Quali ripercussioni può avere sui ragazzi la preoccupazione per un futuro così incerto?
Sicuramente delle ripercussioni importanti. Però se da una parte sappiamo che l’aggravarsi delle condizioni sociali determina un aumento statistico di tutte le malattie e anche di quelle psichiatriche, non possiamo fare un semplice sillogismo che dice che più si è poveri e più si è a rischio di malattia mentale perché questo non è vero. La malattia mentale non è dovuta a fattori sociali anche se può essere aggravata da questi.
Un altro dato preoccupante è la dispersione scolastica. Anche questa è aumentata durante la pandemia. Che effetti può produrre?
Viceversa il livello d’istruzione è un fattore protettivo nei confronti della malattia mentale e quindi sia l’incertezza sul futuro, sia la dispersione scolastica agiranno negli anni come determinanti negativi.
Cosa si può “rispondere” a chi in questo lungo anno e mezzo sui media ha descritto i giovani come oziosi, indisciplinati, addirittura untori acuendo i pregiudizi contro l’età adolescenziale?
Come abbiamo più volte raccontato, i giovani fin dai tempi dei clerici vagantes sono sempre stati la parte più vitale della società con la ricerca di sapere e conoscenza. In quest’anno e mezzo di pandemia la maggior parte degli adolescenti è stata in grado di reagire con energia e intelligenza, anche se le condizioni d’isolamento sono state per loro più pesanti che per chiunque altro. Pensiamo solo al fatto di dover seguire le lezioni a distanza con la Dad e non poter frequentare i luoghi abituali di ritrovo che per loro costituiscono un’esigenza primaria. Ci sono state delle minoranze che in nome di un’apparente ribellione, che cela una fatuità, non hanno osservato le regole del distanziamento e le precauzioni necessarie. Come un altro fattore potenzialmente distruttivo che può aver portato a comportamenti oziosi, indisciplinati, addirittura antisociali, può essere ricercato nel fenomeno per cui ai giovani chiusi all’interno delle mura domestiche sono venute a mancare le solidità delle relazioni affettive esterne, dalla scuola allo sport, semplicemente agli amici e hanno visto aggravarsi conflitti preesistenti, sotto soglia, nascosti dalla routine della vita quotidiana in famiglia. Quindi, non untori o sprovveduti ma, alcuni giovani superficiali, alcuni giovani che si sono ammalati, ma sicuramente una gran parte sono stati ragazzi orgogliosi e coraggiosi che hanno lottato e che hanno cercato un sentire insieme per ricominciare.


L’articolo è stato pubblicato su Left del 25 giugno – 1 luglio 2021

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SOMMARIO

Direttore responsabile di Left. Ho lavorato in giornali di diverso orientamento, da Liberazione a La Nazione, scrivendo di letteratura e arte. Nella redazione di Avvenimenti dal 2002 e dal 2006 a Left occupandomi di cultura e scienza, prima come caposervizio, poi come caporedattore.