Alla XVII Biennale architettura di Venezia si affronta la sfida di immaginare luoghi inediti, in cui risolvere le crescenti disuguaglianze economiche e tensioni politiche

Dopo il rinvio dall’anno scorso a quest’anno, a causa dell’emergenza pandemica, il 22 maggio è stata inaugurata e rimarrà aperta fino al 21 novembre la 17esima edizione della Mostra internazionale di architettura della Biennale di Venezia, intitolata How will we live together?, con la direzione artistica dell’architetto libanese Hashim Sarkis preside della School of architecture and planning del Massachusetts institute of technology (Mit).
L’edizione di quest’anno vuole rispondere alla domanda “come vivremo assieme”, affermando con le parole di Sarkis che: «Abbiamo bisogno di un nuovo contratto spaziale. In un contesto caratterizzato da divergenze politiche sempre più ampie e da disuguaglianze economiche sempre maggiori, chiediamo agli architetti di immaginare degli spazi nei quali possiamo vivere generosamente insieme».

In questa cornice generale il Padiglione Italia curato da Alessandro Melis, indaga il tema del vivere insieme proponendo le esperienze delle “Comunità resilienti” laddove secondo il curatore «le comunità resilienti sono organismi costituiti da intrecci di relazioni, risorse, opportunità e prospettive che sono capaci di mettere in atto strategie in grado di fronteggiare gli effetti del cambiamento climatico».
L’ipotesi di ricerca è quella di indagare con uno spirito interdisciplinare alcune esperienze di resilienza di comunità italiane “marginali” che proprio per la loro peculiarità possono proporre soluzioni alle sfide complesse dei cambiamenti sociali, migratori, economici e climatici in atto.

L’intenzione è quella di decifrare un codice del cambiamento anche con sconfinamenti nelle discipline naturalistiche, nella medicina e in molti altri ambiti che non sono strettamente quello dell’architettura, alla ricerca della capacità di resilienza umana, di cui la creatività appare essere l’essenza più individuabile.
Una raccolta volutamente disomogenea di eccezioni, di condizioni limite, nella convinzione che in queste esperienze si possa annidare un’originalità capace di rispondere a domande nuove e complesse con un esplicito riferimento anche agli studi neo evoluzionisti di Stephen J. Gould.
Le comunità resilienti sono “unita minime” che suggeriscono strategie di rigenerazione o addirittura di costruzione della coesione sociale, da utilizzare nelle comunità che hanno subito tensioni e spinte individualistiche dovute a vari fattori. Non ultime le misure di protezione per la pandemia.
In questo scenario l’architettura è intesa come disciplina che facilita la ricostruzione delle relazioni e dei valori riconnettendo i contenuti di vari saperi e l’architetto è la figura in grado di lavorare alla rigenerazione di quei valori.
Nel padiglione sono presenti varie sezioni: la prima e che meglio sintetizza le intenzioni è dedicata all’Architectural exaptation, concetto che richiama le caratteristiche della resilienza intesa come diversità, variabilità, ridondanza e disomogeneità, seguono temi quali le comunità delle Dolomiti, il mondo femminile dell’architettura, la città italiana media come modello di…


L’articolo prosegue su Left del 25 giugno – 1 luglio 2021

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