Un equilibrio tra architettura costruita, installazioni sperimentali e progetti di ricerca. È il percorso più interessante offerto dalla Biennale architettura di Venezia curata da Hashim Sarkis. Il padiglione Italia è caratterizzato da un gran numero di espositori divisi in una ventina di “comunità resilienti”

La Biennale di Architettura di Venezia quest’anno ha ottenuto un gran traguardo. È aperta. Quasi un miracolo se si pensa alle difficoltà che si sono vissute, al ritardo della decisione di aderire di molte nazioni e alla perplessità di altre. Ma la grandissima maggioranza dei Paesi alla fine ha aderito, un successo per la nostra grande manifestazione internazionale di architettura. Il fatto che si possa andare a visitare la mostra a Venezia, in sicurezza e quasi come se il Covid fosse passato, è un successo di cui bisogna dare atto al neo presidente della Biennale Roberto Cicutto e al curatore, il professor Hashim Sarkis che è un architetto di origine libanese che dirige il dipartimento di architettura del Mit (Massachusetts institute of technology) a Boston.

Condivisa la felicità per l’apertura della manifestazione ai Giardini, naturalmente, una piccola guida può essere utile al visitatore anche perché in un solo giorno di visita è difficile orientarsi e i 25 euro del biglietto vanno ben spesi. Detto questo, io penso che la mostra disposta al padiglione centrale ai Giardini sia parecchio inferiore alle aspettative. O meglio, inquadra l’architettura dentro un campo oscillante tra scienza ed arte. Ma non ha il rigore e la fascinazione delle scoperte scientifiche, né il rischio e la provocazione emotiva e intellettuale dell’arte. In questa terra di mezzo nelle molte installazioni più o meno “scientifiche” l’architettura scompare. Cilindri con bollicine di aria che salgono con dentro scheletri di animali, minerali appesi alle volte, come abbiamo visto molte volte, plastici territoriali colorati e altre operazioni simili.

Il tema proposto dal curatore Come vivremo insieme? non appare affatto chiaro. La sezione più concreta è forse quella che si chiama “Trascending the urban rural” (“Al di là del rurale urbano” ammesso che sia possibile tradurre così il titolo della sezione) ma io ho perplessità in questo ritorno dell’agricoltura nelle maglie della città. Si potrebbe già oggi coltivare molto, nei terrazzi, nei giardini, nei tetti, nelle aree semi abbandonate se lo volessimo. A me pare che questa idea sia astratta, che prescinda dai comportamenti reali.
Bisogna ricordare che il concetto di ecologia non riguarda l’ambiente o la cura dell’ambiente di per sé, ma una serie di relazioni tra ambiente naturale, ambiente antropizzato e soprattutto comportamenti degli uomini nelle sfere tecnologiche e culturali in cui storicamente vivono. In vari punti dei Giardini della Biennale dell’esposizione emergono grandi strutture, una sorta di…


L’articolo prosegue su Left del 25 giugno – 1 luglio 2021

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