Le forme di sapere legate alla scrittura e alla lettura sembrano destinate a un irreversibile ridimensionamento culturale, con effetti imprevedibili sugli studenti, futuri cittadini. Ma non tutto è perduto: l’appello del Forum del libro al ministro dell’Istruzione

All’inizio del nuovo millennio un libro intelligente e di notevole lungimiranza metteva in guardia il mondo dell’istruzione e più in generale quello della cultura sulle forme di sapere che la nostra civiltà era sul punto di perdere. Il libro si intitolava La Terza Fase. Forme di sapere che stiamo perdendo (edito da Laterza nel 2000) e il suo autore, il noto linguista Raffaele Simone, ammoniva sul fatto che si stava entrando in una fase nuova della storia della conoscenza, caratterizzata dalla rivoluzione informatica.

Le forme di cui Simone si occupava nel suo libro sono la scrittura e la lettura, sulle quali per secoli si è fondata la conservazione e la trasmissione del sapere, in base al principio che «le cose che sappiamo le abbiamo lette da qualche parte, dove qualcuno le aveva depositate per iscritto» . Dalla fine del Novecento in poi, con l’esplosione della telematica, concludeva Simone, «il libro non è più l’emblema unico, e forse neanche il principale, del sapere e della cultura»; la scuola, dal canto suo, non sembra in grado di fronteggiare l’enorme espansione della conoscenza, uno dei caratteri fondamentali della Terza Fase, in quanto, «invece che essere il luogo dove la conoscenza si trasmette e riceve una sua prima elaborazione» appare piuttosto «il rifugio nel quale ci si rinchiude per essere protetti dalla conoscenza, dal suo fluire, dal suo accrescersi».

Cosa è successo negli oltre vent’anni che ci separano da queste osservazioni? Se si legge il Rapporto sulla conoscenza, pubblicato dall’Istat nel 2018, si ricava che ancora oggi «la pratica culturale più diffusa è la lettura di libri», sebbene la sua diffusione risulti «di quasi 7 punti percentuali inferiore rispetto al 2010, e in diminuzione in tutte le fasce d’età a eccezione degli anziani». Tuttavia, benché la ricerca confermi che l’Italia «non è tra i Paesi europei con maggior propensione alla lettura», i libri, certo per forza di tradizione ma anche perché geneticamente funzionali a dare forma e struttura al sapere, «continuano a rappresentare lo strumento più diffuso, prodotto, distribuito, acquistato e utilizzato in misura importante» per organizzare e trasmettere la conoscenza.
Se dunque lo scenario ipotizzato da Simone non si è ancora del tutto realizzato, le forme di sapere legate alla scrittura e alla lettura sembrano però destinate a…


L’articolo prosegue su Left del 9-15 luglio 2021

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