I trent’anni di emigrazione albanese in Italia e in Europa hanno molti volti. Oltre un milione di persone ha lasciato il Paese e l’esodo continua, non più via mare e in maniera “irregolare”, al ritmo di 70mila l’anno. Ma il ricordo della vergognosa “accoglienza” che ricevettero dal nostro Paese l’8 agosto 1991 resta indelebile

Quanto accadde l’8 agosto del 1991, nel tratto di mare fra Italia e Albania, era prevedibile. Già da un anno dopo il crollo del regime comunista, che aveva visto saltare la divisione in blocchi dell’Europa, tanti erano stati i cittadini albanesi che avevano cercato riparo in Europa, soprattutto in Italia per la vicinanza geografica, per la presenza storica di numerose comunità albanesi soprattutto nel Meridione, perché dalle Tv italiane giungevano immagini di un Paese di benestanti. Non era solo povera gente “oppressa dal comunismo”, ma anche intellettuali, poeti, artisti, figli di un Paese ad alto tasso di scolarizzazione, che avevano pagato il proprio dissenso.

Un nome fra tutti, arrivato giovanissimo a marzo di quell’anno, Ron Kubati, oggi autore e docente, autore di quel Va e non torna (Besa editrice), tuttora capace di dare voce alla parola “esilio”. Ma in quell’8 agosto di trent’anni fa la situazione esplose.
Chi voleva fuggire si impadronì a Durazzo di un mercantile, la Vlora, da poco giunto da Cuba con un carico di canna da zucchero. Si imbarcarono tra le 20 e le 27mila persone costringendo il capitano a far rotta verso l’Italia. Il porto di Brindisi, verso cui era diretta la nave, non era in grado di accogliere un numero così grande di persone, quindi si convinse l’equipaggio a far rotta su Bari. Si disse che nelle ore necessarie a modificare la rotta sarebbero state predisposte forme di accoglienza, ma non accadde. Fu uno scempio che chi scrive ha visto con i propri occhi, e gli è rimasto impresso.

In assenza di spazi adeguati le persone vennero rinchiuse nello stadio di calcio, nutrite con panini lanciati dagli agenti di polizia, lavate con gli idranti, in condizioni igienico sanitarie disastrose. Il sindaco di Bari fece il possibile ma le istituzioni nazionali brillarono per assenza. L’allora presidente del Consiglio, Giulio Andreotti, dichiarò gelido: «Non siamo in condizione di accogliere gli albanesi che premono sulle coste italiane e lo stesso governo di Tirana è d’accordo con noi che debbono essere rinviati nella loro nazione».

Intanto lo stadio divenne luogo di violenze, con scontri duri fra i giovani albanesi e la polizia. L’11 agosto si giunse a sfamare e a dissetare i profughi, con gli elicotteri. Poi si riuscì a convincere i più arrabbiati che…


L’articolo prosegue su Left del 6-26 agosto 2021

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