La rovinosa fuga dall’Afghanistan rappresenta, oltre che una tragedia per decine di migliaia di afghani, un danno d’immagine probabilmente irreversibile per la Nato. Già nel novembre del 2019, il presidente francese, Emmanuel Macron, davanti all’invasione turca della Siria aveva parlato di “morte cerebrale” dell’Alleanza atlantica. Le immagini della folla disperata all’aeroporto di Kabul rimbalzano sui teleschermi del mondo e certificano il fallimento della strategia cominciata con il conflitto in Jugoslavia e con la prima guerra contro l’Iraq, con la quale si era imposto al mondo il rilancio della Nato come “gendarmeria globale” a servizio degli interessi Usa ed occidentali. Tutta l’impalcatura ideologica e propagandistica con la quale si era sdoganata la guerra dopo la caduta del Muro di Berlino – guerra umanitaria, per i diritti umani, la democrazia, i diritti delle donne e delle minoranze – frana su se stessa mettendo a nudo le vere ragioni per le quali si è tenuto in piedi il più grande, sofisticato e dispendioso apparato militare della storia dell’umanità.
Adesso sono caduti tutti i veli. Degli esseri umani in carne ossa, del destino del popolo afghano costretto ormai a quattro decenni di guerra, alla Casa Bianca e ai governi della Nato che dal 2001 occupavano con armi e carri armati il Paese asiatico, non interessa un fico secco a nessuno. L’unico velo che viene innalzato adesso è quello del…
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