Migliaia di detenuti potrebbero scontare la pena fuori dalle celle. Ma non accade perché manca una forte risposta collettiva, dagli enti locali agli operatori penitenziari, afferma Lucia Castellano, direttore generale del ministero della Giustizia per l’esecuzione penale esterna

Il problema del carcere e, più in generale, dell’esecuzione penale necessita di una risposta collettiva, non può essere solo l’amministrazione penitenziaria ad occuparsene. Questo sostiene Lucia Castellano, per venti anni, dal 1991 al 2011, a dirigere carceri: da Marassi, Eboli, fino alla casa di reclusione di Bollate, un carcere in cui la relazione con la comunità esterna è diventata una realtà. Autrice insieme a Donatella Stasio nel 2009 di Diritti e castighi. Storie di umanità cancellata in carcere, dopo un’esperienza politica nella giunta Pisapia a Milano e nel Consiglio regionale della Lombardia, dal 2016 Lucia Castellano è direttore generale del ministero della Giustizia per l’Esecuzione penale esterna e di messa alla prova. Tutto quel settore cioè, delle misure alternative alla detenzione su cui ci sono grandi attese e speranze. Recente, infine, è un suo contributo tra i testi che accompagnano la riedizione di Perché la pena dell’ergastolo deve essere attenuata di Eugenio Perucatti, il direttore del carcere di Santo Stefano, l’isolotto davanti a Ventotene, che dal 1952 al 1960 fu protagonista di un primo coraggioso tentativo di rendere umani luoghi considerati ai margini della società.

Dottoressa Castellano, dopo il caso delle violenze da parte della polizia penitenziaria a Santa Maria Capua Vetere, tenendo ben presente l’articolo 27 della Costituzione, oggi che cosa si può fare in modo che chi sconta una pena in carcere non subisca un trattamento disumano?
A questa domanda è d’obbligo una premessa: la Costituzione non parla di carcere ma di pene, che non devono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono sempre tendere alla rieducazione del condannato. Noi abbiamo già tutti gli ingredienti per applicare l’articolo 27 nella sua cogenza. A differenza di quando ha operato il mio collega Eugenio Perucatti nel 1952, noi dopo la Costituzione possiamo contare su una serie di norme importantissime, molto garantiste, che sono il precipitato di quel precetto, la cui attuazione ipso facto porta a trattamenti umani. Quindi, è già possibile una risposta punitiva costituzionalmente orientata e, per molti versi, viene già attuata. L’Italia è un Paese che ricorre poco alla carcerazione e in Europa è tra quelli in cui il rapporto tra detenuti e liberi è più basso. Quindi, il legislatore ci chiede di ricorrere al carcere come extrema ratio: sotto i 3 anni di pena edittale (in qualche ipotesi anche sotto i 4 o più), è prevista la sospensione dell’ordine di esecuzione, dando così la possibilità di chiedere una misura alternativa alla detenzione. Quanto all’episodio gravissimo e drammatico di Santa Maria Capua Vetere, a mio parere la risposta politica è…


L’articolo prosegue su Left del 27 agosto – 2 settembre 2021

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SOMMARIO

Una laurea in Filosofia (indirizzo psico-pedagogico) a Siena e tanta gavetta nei quotidiani locali tra Toscana ed Emilia Romagna. A Rimini nel 1994 ho fondato insieme ad altri giovani colleghi un quotidiano in coooperativa, il Corriere Romagna che esiste ancora. E poi anni di corsi di scrittura giornalistica nelle scuole per la Provincia di Firenze (fino all'arrivo di Renzi…). A Left, che ho amato fin dall'inizio, ci sono dal 2009. Mi occupo di: scuola, welfare, diritti, ma anche di cultura.