È ormai innegabile che in questo Paese essere antifascisti non è più fatto scontato, anzi, sta diventando, ogni giorno che passa, fatto identitario e, forse e finalmente, una dichiarazione non più suscettibile di letture scolorite e annacquate dall’opportunismo di maniera proprio del ceto politico italiano degli ultimi decenni. Mai come adesso, almeno se restiamo sul terreno dell’immaginario, simbolico e/o storiografico, le due parti “in lotta” sembrano chiare e riconoscibili. Un esempio su tutti: alla richiesta (accolta obtorto collo) delle dimissioni di Claudio Durigon (che, ricordiamolo, in veste di sottosegretario del ministero dell’Economia aveva avanzato la proposta di reintitolare un parco a Latina a un personaggio coinvolto secondo molti storici nel delitto Matteotti nonché fratello del duce del fascismo, tal Arnaldo Mussolini) ha fatto immediatamente seguito la richiesta (irricevibile) delle dimissioni di Tomaso Montanari, neo rettore dell’Università per stranieri di Siena, a causa delle sue affermazioni, storicamente supportate, sulla moda revisionistica e sull’uso politico del dramma delle foibe, da parte della destra italiota in odor di neofascismo.
Tuttavia, la momentanea soddisfazione data dal veder i due campi, un tempo contrapposti, esserlo di nuovo e senza apparenti infingimenti, se grattiamo un po’ la superficie delle cose, svanisce come…
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