Quel ramo del lago di Como… No, stavolta non è il ramo del celebre incipit manzoniano a “fare scuola”, bensì quello su cui si affaccia Cernobbio, dove si è tenuto anche quest’anno il forum The European house – Ambrosetti. Nella pletora di ministri ansiosi di proscinèsi davanti al mondo confidustriale, non è mancato il ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi, che con un breve intervento ha illustrato il suo progetto di scuola.
Per una efficace funzionalizzazione della scuola alle politiche industriali italiane e all’uso capitalistico della pandemia, Bianchi propone un reskilling (testuale) della popolazione scolastica e individua nelle “risorse umane” il principale limite alla scuola come “motore” dello sviluppo e del rilancio economico. La ricetta di Bianchi è incentrata sulla scuola come luogo di formazione alla “Data economy”, ai mestieri e alle identità che si costruiscono a contatto con le imprese (in questo senso viene intesa la centralità di Istituti tecnici e professionali). In conclusione, sostiene Bianchi, la scuola serve a “mettere in produzione l’intuizione”: occorre che le imprese siano sempre più coinvolte nella scuola perché la produzione si aumenta attraverso le persone.
Sembrerebbe non esserci nulla di nuovo sotto il sole. Perché alla curvatura produttivista e aziendalistica della scuola avevano già lavorato la Buona scuola di Renzi, i tagli costituenti di Tremonti e Gelmini, e si potrebbe continuare lungamente a ritroso almeno fino all’“autonomia scolastica”…
E invece siamo, a mio avviso, dentro uno snodo cruciale per l’istruzione pubblica. Il tornante storico della pandemia ha avuto un impatto trasformativo potentissimo anche sulla scuola. L’accelerazione del tempo postpandemico produce mutazioni che rapidamente da quantitative diventano qualitative. La faglia che si è aperta nel realismo neoliberista può…
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