Sonia Lattari, Giuseppina Di Luca, Rita Amenze, Angelica Salis, Ada Rotini, Chiara Ugolini. Sono le ultime sei vittime di altrettanti mariti o ex, compagni o ex, o conoscenti che queste donne avevano respinto o rifiutato di continuare a frequentare. Sei tragici epiloghi di vicende di persecuzione, offese, maltrattamenti, stalking, limitazione della libertà personale e così via. Sei storie dolorosamente simili a quelle degli altri 64 femminicidi avvenuti nel 2021 in Italia, talmente simili che portano a chiedersi: ma le istituzioni che dovrebbero garantire l’incolumità, che fine hanno fatto? Per provare a dare una risposta a questa e altre domande sulla possibilità di sradicare definitivamente questo fenomeno criminale ci siamo rivolti a Francesco Dall’Olio, sostituto procuratore del Tribunale di Roma.
Dall’Olio, lei è d’accordo con chi dice che in Italia le leggi ci sono e che non è che i femminicidi aumentino perché le norme non sono efficaci?
Io sono d’accordo. I femminicidi non avvengono perché le leggi sono inadeguate. Direi che a tal proposito i piani da distinguere sono sempre tre.
Cioè?
Formazione, prevenzione, repressione. La formazione al riconoscimento e al rispetto dell’identità/volontà dell’altro diverso da sé è un aspetto culturale e comincia dalla famiglia, passa dalla scuola e si diffonde nella società civile. La prevenzione chiama in causa lo Stato ma anche i media. Attraverso un linguaggio e una informazione adeguata si deve sensibilizzare l’opinione pubblica: nessuno può far finta di nulla.
Questo aiuta a creare una sorta di rete protettiva intorno alle situazioni a rischio?
Esattamente, la società civile deve fare la propria parte. Le donne vittime di violenza non devono restare isolate. E in questo caso c’è il prezioso lavoro delle associazioni che si occupano della tutela dei loro diritti, che le aiutano a cogliere i segnali della violenza prima che sia troppo tardi, che le incoraggiano a segnalare e a denunciare. In tal senso la prevenzione può essere fatta anche dalle potenziali vittime “riconoscendo” situazioni e rapporti che sono palesemente pericolosi. Quanto alla repressione, questa ovviamente arriva a fenomeno accaduto e deve essere molto chiara, molto netta. Una volta che è successo un fatto criminale l’autore va punito. Ma qui le leggi ci sono. Non credo che ci sia un vuoto normativo.
La repressione riesce a dissuadere?
La pena è un deterrente. Se la irroghi sistematicamente e correttamente in tutti i casi di violazione, è un forte deterrente.
Ritorniamo sull’aspetto della formazione.
In questo caso ci si deve riferire a un modello “educativo”. Quando si fa educazione civica per esempio ci si rifà alla Costituzione. Quando si fa formazione sul rapporto con l’identità femminile si deve fare riferimento a dei modelli valoriali. Cioè l’uguaglianza, la reciprocità, la tolleranza, il rispetto. Questi sono modelli fondamentali che devono essere proposti già durante la crescita in ambito familiare. È chiaro che se i genitori si…
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