Le responsabilità ideologiche, religiose, storiche e culturali delle grandi potenze nell’annullamento di un mondo diverso, fucina di un pensiero ricchissimo dal punto di vista scientifico e artistico. Quello del Vicino Oriente

Nel drammatico momento che sta vivendo l’Afghanistan, potrebbe sembrare quasi sfacciato affrontare la questione da un punto di vista che non sia quello delle persone, dei diritti umani, delle atrocità dei talebani.
Eppure provare ad allargare la riflessione, gettando uno sguardo sulla storia e la cultura del Vicino e del Medio Oriente, può forse suscitare l’interesse verso una parte del mondo nei confronti della quale l’Occidente ha delle responsabilità che non sono solo politiche.

La prospettiva da cui partire in questa riflessione, l’archeologia, è piuttosto insolita, ma permette di scoprire, strato dopo strato, che sotto le responsabilità politiche, si nascondono responsabilità ideologiche, religiose, storiche e culturali. Quando verso la fine dell’Ottocento nasce l’archeologia del Vicino Oriente, in ritardo rispetto alle altre branche, è sostanzialmente strumento politico nelle mani delle grandi potenze europee: il colonialismo, una delle grandi colpe dell’Occidente, è in Oriente anche colonialismo archeologico. Terminata la Prima guerra mondiale, l’Impero ottomano sconfitto perde il proprio controllo sui territori arabi; la Società delle Nazioni affida quindi ai britannici l’amministrazione provvisoria della Mesopotamia; il Regno Arabo di Siria, formatosi dopo il ritiro turco, viene invece diviso in due diversi mandati: la parte settentrionale viene affidata alla Francia e la parte meridionale al Regno Unito.

Iniziano così gli scavi francesi in Siria e Libano e quelli inglesi in Mesopotamia, Palestina e Transgiordania, ma sono fortemente condizionati da un diktat ideologico-religioso. Si scava in Oriente solo per dimostrare che “La Bibbia aveva ragione”, per citare il famoso libro di Werner Keller, per trovare cioè le prove, i dati scientifici che confermino l’ambientazione storica di quanto narrato nell’Antico Testamento. Così John Garstang negli anni Trenta arriva a forzare le interpretazioni cronologiche, postdatando le mura di Gerico per far coincidere i suoi ritrovamenti con l’episodio biblico della tromba di Giosuè. In tempi più recenti la situazione non è migliorata granché: se ci riferiamo, per esempio, ai retroscena di quel terribile ed infinito conflitto che è la questione israelo-palestinese, scopriamo che alcuni scavi in questi luoghi “privilegiano” determinati periodi storici a discapito di altri, privilegiano gli strati dell’età del Ferro rispetto a quelli più antichi dell’età del Bronzo, per aggiungere prove circa la presenza degli Ebrei in Palestina nell’età del Ferro.
Oltre a questo approccio ideologicamente tarato, l’Oriente è stato vittima di vari pregiudizi nel corso della storia: un pregiudizio greco-romano, per il quale il resto del mondo, “i barbari”, sono esseri inferiori ed un pregiudizio ebraico-cristiano per cui chi non professa quella religione è moralmente depravato, privo di valori.
Ma c’è anche un’altra colpa che ha l’Occidente, forse ancora più grave di quanto raccontato fin qui. Le…

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L’autrice: Gaia Ripepi è archeologa. È stata tra i relatori all’incontro “Afghanistan, siamo tutti coinvolti” organizzato da Left il 3 settembre a Casetta Rossa a Roma. La registrazione è disponibile sul canale Youtube di Left


L’articolo prosegue su Left del 17-23 settembre 2021

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