Il governo Draghi, all’interno dell’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza per l’accesso ai fondi europei del Next generation Eu, sta lavorando ad una riforma fiscale complessiva. Che ve ne sia la necessità, lo dimostrano i dati sulla ricchezza presente del Paese e soprattutto sulla sua attuale redistribuzione. Vediamoli in estrema sintesi.

In termini assoluti la ricchezza in Italia è stimata in circa otto volte il valore del reddito nazionale. Inoltre, il patrimonio è una importante fonte di reddito, nelle forme dei redditi da capitale e d’impresa e delle rendite finanziarie e immobiliari.

Quasi 1,4 milioni di italiani (2,5%) hanno un patrimonio (immobiliare e finanziario) tra 1 e 5 milioni di dollari. Per quanto riguarda i redditi, sono oltre 40.560 gli italiani che guadagnano più di 300mila euro l’anno e sono 416.760 mila quelli che guadagnano tra 100mila euro e 300mila euro l’anno.

Come si distribuisce la ricchezza tra gli italiani? Pur nella frammentarietà delle fonti disponibili, la distribuzione della ricchezza in Italia risulta estremamente disuguale. L’1% più ricco della popolazione detiene tra il 22 e il 24% della ricchezza totale. Il 10% più ricco arriva al 53,6%, mentre il 10% più povero ha lo 0,4%.

Questa situazione non è ovviamente un dato neutro, bensì la conseguenza di tre decenni di politiche liberiste, nonché di un sistema fiscale che, in ossequio alle stesse, ha perso ogni caratteristica costituzionale di progressività, ed è diventato penalizzante per le fasce deboli ed estremamente favorevole per i ceti abbienti della società.

Se prendiamo i dati sull’Irpef (imposta sui redditi delle persone fisiche), che costituisce la gran parte (65%) del gettito nelle imposte dirette, vediamo come il nostro sistema fiscale sia passato da 32 scaglioni di tassazione previsti nel 1974 (anno della sua istituzione) ai 9 scaglioni del 1983, e ai 5 scaglioni dal 2007 ad oggi.

Per rendersi conto dell’iniquità di questo processo, basti pensare che, se nel 1974 la forbice fra le aliquote andava fra il 10% (la più bassa) e il 72% (la più alta), oggi la forbice viaggia fra il 23% e il 43% (con quest’ultima applicata a redditi superiori ai 75mila euro).

Queste trasformazioni hanno seguito tre direttrici: innalzare le imposte sui redditi più bassi; ridurre la progressività tramite la riduzione degli scaglioni; ridurre le imposte sui redditi più alti. Con l’aggravante che, mentre nel 1974 l’Irpef prevedeva il cumulo dei redditi, le successive deroghe l’hanno trasformata in un’imposta il cui gettito è...

* L’autore: Marco Bersani è coordinatore di Attac Italia. Ha pubblicato per DeriveApprodi Europa alla deriva (2019) e Dacci oggi il nostro debito quotidiano (2017) Foto di Pexels da Pixabay [su_divider style="dotted" divider_color="#d3cfcf"]
L'articolo prosegue su Left del 24 settembre 2021
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Il governo Draghi, all’interno dell’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza per l’accesso ai fondi europei del Next generation Eu, sta lavorando ad una riforma fiscale complessiva. Che ve ne sia la necessità, lo dimostrano i dati sulla ricchezza presente del Paese e soprattutto sulla sua attuale redistribuzione. Vediamoli in estrema sintesi.

In termini assoluti la ricchezza in Italia è stimata in circa otto volte il valore del reddito nazionale. Inoltre, il patrimonio è una importante fonte di reddito, nelle forme dei redditi da capitale e d’impresa e delle rendite finanziarie e immobiliari.

Quasi 1,4 milioni di italiani (2,5%) hanno un patrimonio (immobiliare e finanziario) tra 1 e 5 milioni di dollari. Per quanto riguarda i redditi, sono oltre 40.560 gli italiani che guadagnano più di 300mila euro l’anno e sono 416.760 mila quelli che guadagnano tra 100mila euro e 300mila euro l’anno.

Come si distribuisce la ricchezza tra gli italiani? Pur nella frammentarietà delle fonti disponibili, la distribuzione della ricchezza in Italia risulta estremamente disuguale. L’1% più ricco della popolazione detiene tra il 22 e il 24% della ricchezza totale. Il 10% più ricco arriva al 53,6%, mentre il 10% più povero ha lo 0,4%.

Questa situazione non è ovviamente un dato neutro, bensì la conseguenza di tre decenni di politiche liberiste, nonché di un sistema fiscale che, in ossequio alle stesse, ha perso ogni caratteristica costituzionale di progressività, ed è diventato penalizzante per le fasce deboli ed estremamente favorevole per i ceti abbienti della società.

Se prendiamo i dati sull’Irpef (imposta sui redditi delle persone fisiche), che costituisce la gran parte (65%) del gettito nelle imposte dirette, vediamo come il nostro sistema fiscale sia passato da 32 scaglioni di tassazione previsti nel 1974 (anno della sua istituzione) ai 9 scaglioni del 1983, e ai 5 scaglioni dal 2007 ad oggi.

Per rendersi conto dell’iniquità di questo processo, basti pensare che, se nel 1974 la forbice fra le aliquote andava fra il 10% (la più bassa) e il 72% (la più alta), oggi la forbice viaggia fra il 23% e il 43% (con quest’ultima applicata a redditi superiori ai 75mila euro).

Queste trasformazioni hanno seguito tre direttrici: innalzare le imposte sui redditi più bassi; ridurre la progressività tramite la riduzione degli scaglioni; ridurre le imposte sui redditi più alti. Con l’aggravante che, mentre nel 1974 l’Irpef prevedeva il cumulo dei redditi, le successive deroghe l’hanno trasformata in un’imposta il cui gettito è…

* L’autore: Marco Bersani è coordinatore di Attac Italia. Ha pubblicato per DeriveApprodi Europa alla deriva (2019) e Dacci oggi il nostro debito quotidiano (2017)

Foto di Pexels da Pixabay


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