Il Green New Deal ha fatto irruzione sulla scena politica statunitense nel novembre 2018, quando giovani attivisti per la giustizia ambientale e climatica tennero un sit-in nell’ufficio dell’attuale Presidente della Camera dei rappresentanti Nancy Pelosi (Partito Democratico, distretto congressuale della California). Questa liquidò l’idea come un «Green Dream, o quello che è», ma gli attivisti non si scomposero. La loro risposta è stata che in effetti il Green New Deal rappresenta un sogno, un sogno di cui abbiamo disperatamente bisogno, un sogno di ciò che gente organizzata e determinata è in grado di realizzare di fronte a una crisi che minaccia l’abitabilità della nostra casa comune. Considerato quanto radicalmente e rapidamente le nostre società devono cambiare se vogliamo evitare una catastrofe climatica totale (e data la prevalenza schiacciante di scenari e prospettive di catastrofe ecologica), condividere qualche grande sogno di un futuro in cui non si sprofondi in una barbarie climatica è sembrato in effetti un ottimo punto di partenza.
L’interazione tra sogni elevati e vittorie concrete è sempre stata al centro di momenti di profonda trasformazione in senso progressista. Negli Stati Uniti, gli avanzamenti nel campo dei diritti dei lavoratori e delle loro famiglie dopo la Guerra Civile e durante la Grande Depressione, così come quelli nel campo dei diritti civili e dell’ambiente negli anni Sessanta e nei primi anni Settanta, non furono semplicemente risposte, rivendicate dal basso, a delle crisi. Furono anche il prodotto di sogni di modelli molto differenti di società, sogni allora regolarmente liquidati come impossibili e irrealizzabili.
Ciò che ha contraddistinto quei momenti non è stata la presenza di una o più crisi (che nella nostra storia non sono mai mancate), ma piuttosto il fatto che si sia trattato di…
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