Nasce da una ricerca personale sull’immagine femminile il nuovo album del cantautore romano che con V rende omaggio ai popoli indigeni e alla “indigenità”, come dimensione universale che è in ciascuno di noi

Una donna dalla pelle scura, dorata, in uno sfondo giallo intenso con addosso i tantissimi colori della bandiera Whipala, simbolo del popolo indigeno. Una donna pronta a lottare per i propri diritti, a lottare contro quella cultura che non l’ha “vista” per tanto tempo, forse troppo. Ed ecco che poi la stessa donna da guerriera è pronta ad essere anche morbida e farsi vedere in tutta la sua bellezza, libera con la propria identità. Non è casuale la scelta di questa immagine in il nuovo album (Polydor) del cantautore romano Alessandro Mannarino uscito lo scorso 17 settembre. Un album da cui emerge, come ci racconta lui stesso, la sua ricerca personalissima di questa immagine femminile.
«La prima immagine che mi è venuta in mente è stata l’immagine di una donna indigena, resistente, che veniva da molto lontano, da un passato indecifrabile, ma che era già proiettata nel futuro. Per me questo disco è un messaggio che lancio nel futuro. L’idea è di lasciare spazio a chi vede il rapporto con questa immagine».

V come Venere, Voce, Vita, Vulcano, Vagabonda, Vento. Questa V può essere tante cose o forse solo un suono. «Non riuscivo a dare un titolo all’album che avesse un senso – racconta Mannarino – un significato incarnato in una parola, in una lingua. Per fare questo disco ho fatto una ricerca su temi che vengono ancora prima della scrittura e della parola. Molto è incentrato sul suono quindi qualsiasi titolo sarebbe stato prepotente per questo disco. Volevo che la V rimanesse così come la copertina, interpretabile». E allora forse viene in mente V come vagito e quel suono che accomuna tutti gli esseri umani alla nascita.
Una ricerca quella di Mannarino che guarda anche geograficamente lontano: ai movimenti in Colombia, in Cile, le lotte degli indigeni e delle femministe. «Molti gruppi resistenti oggi in Brasile e in Sud America hanno a capo dei leader donne, che ho conosciuto personalmente. Hanno molto più voce perché hanno una cultura con una impronta più matriarcale, non c’è l’impalcatura occidentale, patriarcale che ha a che fare sia con la cultura greco romana, ma anche con il cristianesimo, con il monoteismo. L’universo che esce fuori dal disco è un universo più animista, non c’è il dio del monoteismo».

Mannarino ci racconta anche che voleva un disco che fosse folk, ma anche contemporaneo. «Volevo trovare la forza ancestrale e raccontare la forza di tutti gli esseri umani, su un terreno comune che è prima della scrittura, prima della cultura. Quindi togliere tutte le sovrastrutture e andare a…


L’articolo prosegue su Left dell’1-8 ottobre 2021

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