Avere mostrato e dimostrato che un’altra società è possibile: questo è il grande crimine dell’ex sindaco di Riace

La mia opinione sul Paese che abito, ora che sono arrivato a tre quarti di secolo, è che l’Italia abbia imboccato un declino ai limiti dell’irreversibilità. Ogni decenza è defunta. La sentenza emessa alla conclusione del processo intentato contro Mimmo Lucano mi appare come il colpo di grazia sparato alla testa di ciò che chiamiamo civiltà dell’essere umano.

Non mi permetto di discutere la sentenza né il suo dispositivo, non ho competenze al riguardo e neppure mi interessa farlo. Sul piano della stretta legalità la decisione dei giudici potrebbe anche essere impeccabile ma non è questo punto. Il punto è che in questo caso legalità e giustizia non coincidono. Lo scollamento fra i due concetti non potrebbe essere più osceno. Mimmo Lucano è un uomo giusto, coraggioso, buono, ma soprattutto ha dato vita ad un progetto di società che si fonda sul senso più alto e più nobile che si possa immaginare: la visione di una comunità fondata sui valori dell’uguaglianza, della solidarietà e della giustizia sociale. Questo è il grande crimine di Lucano, avere mostrato e dimostrato che un’altra società è possibile. Altra rispetto a quella in cui viviamo.

La maggioranza delle persone che vivono nei Paesi della cosiddetta civilizzazione occidentale tendenzialmente sono costrette a comportarsi come i criceti nella ruota, corrono e reiterano i loro comportamenti senza più chiedersi perché lo fanno e, soprattutto senza mai interrogarsi sul senso di questa esistenza, incapaci di pensare ad un altro modo di vivere e di costruire relazioni. Le grandi strutture economico finanziarie nella loro ricerca di incrementare senza limiti i loro profitti determinano l’organizzazione della società orientandola verso l’ipertrofia e la bulimia dei consumi. Questa logica ha come conseguenza la compressione di altre dimensioni del sentire e dell’agire umano e lo porta a rincorrere la vita attraverso defatiganti e alienanti mediazioni di consumo come se ci si volesse suggerire che la vita consiste sostanzialmente in tre atti: produci, consuma e poi muori.
Mimmo Lucano incarna in sé il contrario di questa sottocultura del consumo e del privilegio. La sua mente e il suo grande cuore sono rivolti all’altro.

Il riconoscimento dell’alterità, come priorità per l’edificazione di una società di giustizia e di uguaglianza, muove le suo operare. La luce dell’altro splende con intensità fra gli ultimi: i diseredati, i perseguitati, i reietti, gli abbandonati, i migranti. Il sindaco di Riace lo sa e decide di costruire nella sua città una comunità solidale e giusta. Il suo modello diventa un paradigma a cui guardare per individui, associazioni, municipalità, organizzazioni umanitarie.

Mimmo ha dimostrato concretamente che un altro mondo è possibile, qui e adesso, ha indicato la strada mettendo a disposizione del progetto la sua energia e la sua contagiosa passione. Lo ha fatto con una disarmante semplicità come la cosa più naturale del mondo. Per questo decine di migliaia di persone lo hanno amato, lo amano e continuano a farlo. In una società che si fonda sui valori del danaro, del privilegio, delle ignobili diseguaglianze, della degenerazione della politica verso l’asservimento agli interessi dei potentati; una società che tollera il cancro della corruzione, dell’evasione fiscale, la metastasi delle malavite organizzate vede un sindaco come Lucano come un corpo estraneo.

Questo è il contesto in cui matura la sentenza con una condanna spropositata comminata ad uomo che non ha tratto alcun vantaggio personale dalla sua opera, al contrario ha dato tutto se stesso al principio dell’amore per il prossimo tanto millantato dalla spiritualità giudaico-cristiana. Ora si ritrova trattato come il peggiore dei criminali, proprio per avere preso sul serio il fondamento etico della nostra cultura e per averlo fatto con quella radicalità e quella verità che sole lo rendono autentico e non la patacca retorica ipocrita e falsa che ci viene ammannita in occasione delle sante festività.

 

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L’editoriale è tratto da Left dell’8-14 ottobre 2021

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