Nella manovra di bilancio per il 2022 appena approvata dal Consiglio dei ministri, un tema rilevante è rappresentato dall’ennesima riforma delle pensioni. Chi si aspettava una riforma generale, dopo la sperimentazione di Quota 100 (la riduzione dei requisiti per il pensionamento per chi aveva almeno 62 anni di età e 38 di contributi voluta dal primo governo Conte nel 2019) è rimasto deluso. Le opzioni sul tavolo per una riforma complessiva – che affrontasse una volta per tutte alcune criticità legate alla riforma Fornero del 2011 – sono state scartate a favore di un approccio minimalista, centrato sull’introduzione di Quota 102. Quest’ultima, che dovrebbe peraltro valere per il solo 2022, implica il mero innalzamento dei requisiti di pensionamento, con l’introduzione del requisito dei 64 anni di età e 38 anni di contributi per l’uscita anticipata rispetto ai 67 anni fissati dall’applicazione della riforma Fornero.
Da un punto di vista politico, la decisione del governo Draghi appare indicativa di un approccio pragmatico centrato su valutazioni di breve termine: con Quota 102 si rivede al rialzo la precedente Quota 100 e si genera un aggravio di spesa molto limitato per il bilancio pubblico, dato il numero molto ridotto dei potenziali beneficiari della misura. Al contempo, non si smantella la strategia delle quote come misura per allentare le rigidità dell’età pensionabile ereditate dalla riforma del 2011. In questo modo, si accontentano quelle forze politiche che più si erano spinte nel caldeggiare la riduzione dell’età effettiva di pensionamento a vantaggio di alcune categorie limitate senza, al contempo, affrontare in via strutturale la problematica dell’altezza dell’età pensionabile.
Dunque, non sembra che…
* Gli autori: David Natali è professore di Politica europea e comparata alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. Michele Raitano insegna Politica economica al Dipartimento di Economia e diritto della Sapienza, Università di Roma
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