Gli impegni annunciati da capi di Stato e di governo non corrispondono alle loro intenzioni. Le decisioni su come governare il clima che cambia continueranno a essere prese nei consigli di amministrazione delle grandi imprese energetiche

«Non sono interessati al nostro futuro». Sono le lapidarie parole con cui Greta Thunberg, insieme a oltre centomila persone, ha liquidato i lavori della Cop26. Va detto, in quelle poche parole non c’è rassegnazione, la mobilitazione continuerà ancora più determinata e auguriamoci che si estenda. C’è però una giustificata rabbia per il disinteresse dei cosiddetti potenti della Terra, che in fondo è una vera e propria negazione di futuro per i giovani di oggi e per quelli e quelle che verranno.
Sbaglieremmo a pensare che i governanti agiscono così per ignoranza e stupidità. Al contrario nelle loro scelte c’è la consapevole decisione di difendere i profitti di pochi, i loro, rispetto all’interesse collettivo, sapendo che così espongono l’umanità a rischi terribili, compreso quello di una progressiva estinzione.

Loro non disconoscono, come facevano un tempo, il cambiamento climatico, ma non sono in grado di governarlo perché incapaci di uscire dal vincolo del dogma dell’eterna crescita. Per quanto si arrovellino non c’è compatibilità possibile fra sostenibilità ambientale e sociale e modello di sviluppo capitalistico. Purtroppo il tempo per capirlo è scaduto. Sbaglia il premier britannico Johnson quando sostiene, in apertura dei lavori della Cop26, che mancano pochi minuti al punto di non ritorno. Purtroppo quel punto è stato già superato e infatti il mondo scientifico gli ha subito ricordato che anche se si riuscisse a contenere l’aumento delle temperature entro gli auspicati 1,5 gradi, ciò non eviterebbe gli annunciati guai, ma solo le loro conseguenze più devastanti.

E pur tuttavia colpisce la sproporzione fra i toni apocalittici usati dai capi di Stato nei loro interventi e le decisioni che pensano e alla fine saranno approvate dalla Cop26.
La sensazione che trasmettono non è certo quella dei grandi statisti, come in cuor loro pretenderebbero, ma più semplicemente quella della piccola orchestrina che continuava a suonare sul ponte del Titanic mentre si inabissava. Viene da pensare proprio a quell’immagine ascoltando le parole di Cingolani, ministro italiano per la transizione ecologica, quando ammonisce le e gli ambientalisti sui costi per la realizzazione della Transizione ecologica. Forse colui a cui è affidata la responsabilità di far transitare l’Italia verso un futuro sostenibile dovrebbe chiedersi quanto costi, in termini di vite umane e distruzione del bene amato Pil nazionale, non riuscire a realizzare una vera transizione ecologica.
Il punto più grave però di tutta questa deludente vicenda della Cop26 è che a Glasgow in realtà non è stato possibile decidere niente, se non i contorni, perché la…


L’articolo prosegue su Left del 12-18 novembre 2021

Leggilo subito online o con la nostra App
SCARICA LA COPIA DIGITALE

SOMMARIO