La Polonia costruisce un muro per respingere i profughi che la Bielorussia usa come strumento di ricatto contro le sanzioni Ue. Purtroppo non è una novità. Lungo i 9mila km di confine terrestre dell’area Schengen ci sono già 1500 km di barriere e filo spinato. Al resto, nel Mediterraneo, ci pensano Erdogan, le milizie libichee Frontex. La disumanità finanziata con i soldi di Bruxelles

Spinti contro il filo spinato, attanagliati dal gelo, senza cibo e acqua da giorni, sottoposti a ogni tipo di soprusi, derubati da bande e poliziotti e presi a cannonate d’acqua gelida. Tenuti lontani anche da quel minimo di soccorso che possono offrire Ong e volontari. La Bielorussia ha messo fuorilegge le Ong e la Polonia impedisce loro di intervenire. Intrappolati in questa terribile morsa migliaia di migranti e richiedenti asilo rischiano di morire. Molti di loro sono bambini. Ad oggi si ha notizia di 9 morti ma potrebbero essere molti di più nella foresta ghiacciata dove sono costretti. Molti di loro erano arrivati dal Kurdistan iracheno e dalla Turchia con un volo fino a Minsk, attratti da compagnie di viaggi bielorusse controllate dal governo che promettevano loro un facile accesso in Polonia, per arrivare poi in Germania. Non immaginavano certo di dover affrontare una situazione come quella che stanno subendo, da scenario di guerra, se non peggio, con quasi 20mila soldati polacchi con cani d’assalto schierati contro di loro, migranti inermi.

È oltremodo drammatica la testimonianza che l’attivista Nawal Soufi ci ha inviato dal confine fra Polonia e Bielorussia e che pubblichiamo ad apertura di questa nuova e urgente storia di copertina. Lady Sos viene chiamata dai migranti in cerca di aiuto che si passano il suo numero di cellulare. Di solito la chiamano, da lontano, dal mare o dalla rotta balcanica. Ma ora loro sono lì nel buio, magari a pochi passi, ma è quasi impossibile soccorrerli perché i militari lo impediscono insieme a gruppi di neonazisti polacchi che fanno le ronde per intercettare e bloccare chi si mobilita per offrire aiuto.

Di chi è la responsabilità? Certamente della Bielorussia dove il feroce autocrate Alexander Lukašėnka usa cinicamente i migranti come pedine, come merce di scambio, per ottenere soldi e cancellazione delle sanzioni, per vendicarsi delle “intromissioni” europee nella sua violenta repressione del dissenso interno. E certamente le responsabilità sono della Polonia dove la destra liberticida al governo intende costruire un muro alla Trump per tutta la lunghezza della sua frontiera e intanto ha già blindato una zona militarizzata di due miglia dove sono vietati i servizi medici, dove operatori umanitari, volontari e giornalisti non hanno accesso. E certamente è della Russia di Putin che si serve di Lukašėnka. Ma non sono solo tre governi ad aver determinato questa gravissima emergenza umanitaria. La responsabilità è direttamente e indirettamente dell’Unione europea che rimane inerte, che volta la testa dall’altra parte di fronte alla richiesta di asilo di questi profughi che fuggono dalle guerre e dalla miseria che funesta molti Paesi del Medio Oriente e dell’Africa.

Su quel confine fra Bielorussia e Polonia dove è negato il diritto di asilo e sono negati i diritti umani muore ogni idea di Europa civile e democratica, muore ogni senso dell’umano. E non accade solo lì. Accade, e non da ora, anche più a Sud al confine tra la Croazia e la Bosnia-Erzegovina: unità speciali della polizia croata – lo abbiamo documentato con inchieste e reportage dalla rotta balcanica – usano la violenza, infieriscono sadicamente sui migranti spesso lasciandoli senza scarpe nella neve e li respingono con ogni mezzo. Accade in Grecia dove uomini della guardia costiera, con passamontagna e senza segni di riconoscimento, sequestrano i migranti, li mettono su zattere di salvataggio finanziate dall’Ue e li spingono a largo, verso la Turchia, abbandonandoli.

Accade ogni giorno in Libia e in Turchia dove l’Ue ha esternalizzato i propri confini addestrando e foraggiando la cosiddetta guardia costiera libica e gli apparati di Erdoğan perché “trattengano” e riacciuffino i profughi che si mettono per mare.
Per rendere impermeabili i propri confini Bruxelles ha finanziato e alimentato una gigantesca industria di detenzione di migranti in tutta l’Africa. Stringendo accordi con i Paesi del nord e del Corno d’Africa per trattenere i profughi prima che possano raggiungere il Mediterraneo. Dando soldi a personaggi come Omar al-Bashir, l’ex leader del Sudan incriminato dal Tribunale penale internazionale per crimini di guerra. E rendendosi complice di miliziani libici, facendo finta di non sapere delle torture e degli stupri che subiscono i migranti in quei luoghi di morte che sono i centri di “accoglienza” della Libia.

Come se non bastasse, all’interno del territorio europeo, dove già ci sono famigerati campi come quelli greci di Lesbo, anche questi costruiti con soldi Ue, crescono ulteriori muri. Il mese scorso 12 Paesi hanno proposto di costruirne di nuovi oltre quelli esistenti che si snodano per circa 1.500 km. La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha affermato che i 12 non potranno costruirli con soldi Ue ma il Consiglio europeo per bocca di Charles Michel ha usato altre parole ribadendo l’importanza di difendere i confini europei. La Fortezza Europa è sempre più tale e chi osa mettervi piede è trattato come un criminale. Ma criminali e disumane sono le politiche europee sull’immigrazione. Basta con le politiche dei “respingimenti” ovvero espulsioni illegali e violente. Bisogna costruire canali umanitari, riconoscere il diritto d’asilo, mettere in salvo le persone, rivedere il trattato di Dublino, smettere di pagare autocrati e milizie che trattengano i migranti, smettere di utilizzare gli aiuti come ricatto. L’Europa non abdichi a se stessa e a i principi di umanità.


L’editoriale è tratto da Left del 19-25 novembre 2021

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Direttore responsabile di Left. Ho lavorato in giornali di diverso orientamento, da Liberazione a La Nazione, scrivendo di letteratura e arte. Nella redazione di Avvenimenti dal 2002 e dal 2006 a Left occupandomi di cultura e scienza, prima come caposervizio, poi come caporedattore.