Si sta ovviamente parlando di 400 anni fa. L’umanità ha da tempo imparato a far tesoro della esperienza (?). Resta il divertimento di passare il Canal Grande sul ponte galleggiante. La cura per la peste sono gli antibiotici, scoperti per caso nel 1928 da Alexander Fleming, che insieme con Ernst Chain e Howard W. Florey otterrà il premio Nobel per la medicina nel 1945. Ci sono voluti centinaia di anni.

Una festa, una delle più importanti della città, una vera ricorrenza che è diventata un evento identitario. In ricordo di una pandemia di secoli fa: una epidemia di peste. Siamo a Venezia e la festa è quella della Salute che si celebra ogni anno il 21 novembre. Una festa religiosa ma soprattutto una grande festa popolare cui partecipa la gran parte dei (pochissimi, non contando Mestre che formalmente è parte di Venezia) abitanti della città in mezzo alla laguna. Per l’occasione si costruisce un ponte provvisorio che unisce la riva dal lato di San Marco del Canal Grande all’altra su cui si trova la chiesa della Salute, più semplicemente la Salute. Il ponte resta per solo tre giorni e poi viene smontato per l’anno successivo. Il popolo veneziano percorre il ponte verso la chiesa ricordando la processione che avveniva secoli fa. Entrando nella chiesa per lasciare delle candele che solo in piccola parte verranno accese data la grande affluenza (ridotta se necessario per rispettare le regole della attuale pandemia). Per l’occasione come avviene per altre feste veneziane (e non solo) la ricorrenza è legata ad alcune specialità gastronomiche che si possono mangiare solo in questa occasione. Le frittelle, ciambelle cotte nell’olio alle bancarelle nei pressi della chiesa e la castradina, un piatto a base di cosciotto di montone salato, affumicato e stagionato, con cui si fa, con aggiunta di verza, cipolle e vino, una zuppa che si consuma solo alla vigilia della festa della Salute. Montone che sin dal 1173 arrivava a Venezia da quella che sono ai giorni nostri la Croazia e l’Albania.

Tra 1575 e 1577 a Venezia vi fu un’epidemia di peste che fece morire un terzo della popolazione della città. Il Senato veneziano pensò alla realizzazione di una chiesa votiva che avrebbe dovuto servire a sollecitare un intervento divino per salvare la città. La chiesa verrà realizzata da Andrea Palladio che morì nel 1580 prima che la chiesa venisse conclusa nel 1592. L’intervento divino, per i credenti, funzionò dato che l’epidemia cessò due mesi dopo l’inizio della costruzione nel luglio 1577. E nacque la festa del Redentore che da allora si svolge a luglio, tranne negli ultimi anni, per colpa della pandemia di Covid 19. Anche in questo caso si costruisce un lungo ponte di barche per andare alla chiesa camminando sull’acqua.

Perché era necessario un intervento divino? Avevano capito qualcosa i veneziani (e gli europei) di che cosa era la peste e come si propagava? Le autorità di fronte alla diffusione e alla gravità della epidemia presero una serie di misure che erano abbastanza simili. Scrive lo storico della medicina Alberto Zampieri: “Mettere guardie alle frontiere dello stato in modo che nessuno potesse entrare senza un bolletta di sanità che attestava lo stato di salute; proibizione di fiere e mercati; attenta vigilanza alle porte della città; nomina di commissari con incarichi vari di igiene pubblica; istituzione di lazzaretti ove isolare i colpiti; sepoltura dei morti in fosse comuni, coperte poi di calce; bruciatura delle robe infette (sia vestiti, che panni qualsiasi ed anche mobilio); nomina di appositi medici cui affidare la cura dei malati; bando di quarantene per cercare di debellare l’epidemia.” Ed aggiunge: “Per la terapia, questa era la più varia: tra i medicamenti principi, la teriaca (con cui si credeva si curassero moltissime malattie) la pietra Belzoar, il mitridate, l’orvietano, vari tipi di pillole portentose, l’ingestione di preparati a base di pietre preziose, l’olio contro veleni, la terra sigillata, alcune erbe medicinali (come la tormentilla, la borragine, l’angelica, il cardo mariano. Fra le tante specialità miracolose, vi era quella di pestare insieme arsenico, garofani, zafferano, zenzero e ruta, metterli in un sacchetto da portare sopra la camicia dalla parte del cuore. Era questo un rimedio sicuro per preservarsi dal morbo.” Ed era del tutto naturale rivolgersi ai santi ed ovviamente invocare l’intervento della Madonna.

I veneziani avevano compreso che l’unica possibile difesa era la quarantena. Come ha ricordato Mariano Montagnin “Si accorsero che una nave, proveniente da Oriente o comunque da zone a rischio, lasciata fuori dalla città per quaranta giorni rivelava eventuali epidemie: se non succedeva nulla, gli uomini potevano scaricare le merci, che nel frattempo erano state anch’esse arieggiate, e scendere a terra, altrimenti morivano tutti sulla nave.” Ma successe un imprevisto. L’8 giugno del 1630 arriva a Venezia l’ambasciatore del Duca di Mantova, marchese de Strigis, a Mantova erano stati individuati dei focolai di peste. Data l’importanza del personaggio non andò in quarantena al Lazzaretto Nuovo, ma nell’isola di San Clemente, dove ebbe contatti con un falegname che portò la malattia in città. Il primo Lazzaretto fu realizzato nel 1423: il Lazzaretto Vecchio, nell’isola di Santa Maria di Nazaret. Il secondo, il Lazzaretto Nuovo, nel 1468, nell’isola denominata Vigna Murada, lungo il percorso che porta a Torcello. Saranno 16 mesi di morte, da 48 contagi in luglio, si passò a un migliaio a settembre e a 14mila in novembre. Il doge Nicolò Contarini fece voto alla Vergine Maria di costruire una grande chiesa in suo onore.” Ed aggiunge: “il commercio non poteva fermarsi, pena la scomparsa della città. Così, molti patrizi morivano proprio per rimanere in città e curare gli interessi della famiglia: dopo la peste del 1348, cinquanta famiglie patrizie veneziane scomparvero.”

Architetto della chiesa della Salute sarà un giovanissimo Baldassarre Longhena. La costruzione inizierà nel 1631e sarà consacrata nel 1687. Anche in questo caso come con Palladio l’architetto morirà prima del completamento della chiesa. La peste del 1630 è quella di cui parla Manzoni, a Milano, nel capitolo XXXI de I promessi sposi: “Sul finire del mese di marzo cominciarono, in ogni quartiere della città, a farsi frequenti le malattie, le morti…I medici opposti alla opinion del contagio, non volendo ora confessare ciò che avevano deriso, e dovendo pur dare un nome generico alla nuova malattia, divenuta troppo comune e troppo palese per andarne senza, trovarono quello di febbri maligne, di febbri pestilenti: miserabile transazione, anzi trufferia di parole, e che pur faceva gran danno; perché, figurando di riconoscere la verità, riusciva ancora a non lasciar credere ciò che più importava di credere, di vedere, che il male s’attaccava per mezzo del contatto”.

Si sta ovviamente parlando di 400 anni fa. L’umanità ha da tempo imparato a far tesoro della esperienza (?). Resta il divertimento di passare il Canal Grande sul ponte galleggiante, ovviamente nel senso dal lato di san Marco verso la salute. La cura per la peste sono gli antibiotici, scoperti per caso nel 1928 da Alexander Fleming, che insieme con Ernst Chain e Howard W. Florey otterrà il premio Nobel per la medicina nel 1945. Ci sono voluti centinaia di anni.

 

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