I migranti bloccati alla frontiera tra Polonia e Bielorussia sono figli dei conflitti nel Kurdistan, nel Pakistan, nell’Afghanistan tornato in mano ai talebani e aggredito dalla fame. Schiacciati dai giochi politici dei governi e delle ideologie. E Varsavia annuncia la costruzione di un muro di confine

È la concatenazione quella che crea i guai, nel senso della catena di eventi che, una volta messi assieme e saldati gli anelli, generano il problema. Ne sanno qualcosa le migliaia di persone che si trovano in queste ore a bussare alla porta d’Europa via Polonia, passando dalla Bielorussia. Sono soprattutto curdi iracheni, ma sono anche pakistani e afghani. Tutti vittime di catene di tragedie fatte di guerre, ingiustizie, miseria. Concatenazioni di problemi che li hanno fatti scappare da casa, fuggire lontano, in un domino che sembra non finire. Ora sono ammassati lungo una frontiera, al freddo, con l’obiettivo di arrivare, finalmente, in un posto sicuro, che garantisca un futuro. Eserciti, polizia, muri e politica glielo impediscono, creando un nuovo dramma umanitario.

La situazione alla frontiera fra Polonia e Bielorussia non è una novità ai confini orientali dell’Unione Europea. Un po’ più vicino all’Italia, fra Bosnia Erzegovina e Croazia, da anni i migranti della rotta balcanica sbattono contro le reti e i manganelli croati. I campi improvvisati in Bosnia, a Bihac, accolgono 8-10mila persone. Sopravvivono grazie all’aiuto di decine di associazioni e di volontari europei (come Nawal Soufi che apre con il suo reportage questa storia di copertina, ndr), ma il passo resta chiuso, proibito a suon di bastonate sulle gambe e furti da parte della polizia croata. Chi tenta di trovare un passaggio clandestino nella foresta che divide la Bosnia dall’Europa dei ricchi viene punito duramente. Altre migliaia di persone – forse 40mila – sono in Serbia. La Turchia, grazie ai contributi della Ue, blocca entro i propri confini almeno 5 milioni di esseri umani.

Far passare la situazione fra Polonia e Bielorussia come una novità, un’emergenza, è quanto meno fantasioso. Si tratta solo dell’ennesimo spostamento d’asse di una rotta praticata da almeno due decenni, l’unica a rendere possibile – in qualche modo – il collegamento via terra fra Vicino Oriente o Asia e Europa.

La novità, semmai, è il coinvolgimento contemporaneo di…

 

* Raffaele Crocco è direttore responsabile de L’Atlante delle guerre e dei conflitti del mondo, di cui è appena uscita la decima edizione


L’articolo prosegue su Left del 19-25 novembre 2021

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