Riceviamo e pubblichiamo: Gentile direttrice, abbiamo letto l'articolo pubblicato su Left il 24 novembre e firmato da Gianluca Peciola dal titolo "Salviamo l’isolotto di Santo Stefano dal cemento" A nostro avviso riporta in maniera incompleta e forviante il senso e le attività connesse al Progetto di recupero dell'ex carcere borbonico di Santo Stefano in Ventotene, per questo motivo le inviamo una nostra breve nota: Nessun “cemento e sfruttamento” e nessuna speculazione contro l’ambiente nel recupero dell’ex Carcere di Santo Stefano di Ventotene. Solo attenzione alla conservazione dell’habitat inclusa la prateria di Poseidonia, e rispetto per la storia dell’ex Carcere nel progetto di recupero, come dimostrano studi, ricerche, progettazioni e verifiche che sono alla base del progetto in corso, a me affidato dal Governo. Un chiarimento è doveroso rispetto a illazioni infondate: il recupero dell’intero ex complesso carcerario non prevede alcun intervento di cubatura aggiuntiva all’esistente, ma solo interventi di restauro conservativo, approvati dal Tavolo istituzionale permanente che presiedo, di cui sono parte la Presidenza del Consiglio, il Ministero della Cultura, il Ministero della Transizione Energetica, la Regione Lazio, l’Agenzia del Demanio, il Comune di Ventotene, la Riserva Naturale Statale e la Area Marina Protetta. La vera minaccia per Santo Stefano, l’isola che ospita l’ex carcere Borbonico, noto come il Panopticon, è lo stato di abbandono in cui è stato lasciato un Bene culturale e ambientale per oltre 56 anni, nell’indifferenza di tutti, anche di coloro che oggi si ergono a paladini dell’ambiente. Con particolare riguardo al Progetto di approdo (priorità individuata già nell’accordo del 2017), il progetto attuale è stato oggetto di incontri tecnici con tutte le amministrazioni competenti compreso il Ministero dell’Ambiente, la Regione Lazio e il Comune con le due Riserve, e anche se il progetto non può certamente suggerire alcuna identificazione con un “porto”, ciò nonostante abbiamo deciso di sottoporlo alla procedura di Valutazione Impatto Ambientale (VIA) statale, tuttora in corso, allo scopo di dare a tutte le Associazioni e a tutti i Cittadini la possibilità di presentare osservazioni. Come Commissario di Governo vorrei sottolineare che la proposta finale del progetto di approdo sarà certamente il frutto del più alto livello di equilibrio che mi impegno a favorire tra le esigenze di accesso in sicurezza al godimento di un monumento nazionale e la doverosa tutela dei beni ambientali e faunistici dell’Isola. Nessuno spazio dunque quindi per svilire o danneggiare il Capitale naturale ma semmai rendere meno fragile e degradato questo luogo così simbolico nel rispetto di vincoli e tutele previsti dalle normative. *L'autrice: Silvia Costa è commissario straordinario per il recupero dell’ex Carcere di Santo Stefano Ventotene *La foto "Santo Stefano vista da Ventotene" è di Luigi Versaggi - https://www.flickr.com/photos/versaggi/561227851/ *-* Salviamo l’isolotto di Santo Stefano dal cemento di Gianluca Peciola Ho incontrato una vertenza (così mi viene di chiamarla) che riguarda il progetto di recupero e valorizzazione dell’ex carcere borbonico dell’isola di Santo Stefano, che prevede la realizzazione di un sito di alta formazione e di produzione, di attrattività culturale e turistica. Un progetto che prevede una riqualificazione paesaggistica, cantieri scuola, visite guidate, allestimenti museali, eventi e installazioni artistiche. Con la costruzione di un molo di cemento a rappresentare l’infrastruttura di approdo. Avete presente? Santo Stefano è l’isolotto vicino di mare di Ventotene (nell’arcipelago delle isole pontine, al largo delle coste laziali), a cui è legato per prossimità geografica e per condivisione di storie di reclusioni e confini. Nel carcere di Santo Stefano hanno trovato “ospitalità” lo scrittore Luigi Settembrini, il politico e patriota Silvio Spaventa, gli anarchici Gaetano Bresci e Giuseppe Mariani; durante il fascismo vi furono imprigionati Sandro Pertini, Umberto Terracini e il futuro senatore del Partito Comunista Italiano, Mauro Scoccimarro. Altri antifascisti vennero confinati nella vicina Ventotene. Santo Stefano è una roccia piena di Storia, come Ventotene. Insieme trasmettono significati che le trascendono, che le fanno essere, loro malgrado, luoghi simbolicamente espressivi e naturalisticamente e culturalmente attrattivi. Sono parte di una sorta di arcipelago geopolitico del federalismo europeista, di un immaginario che, come per una sorta di contrappasso dei significati, trasuda idee di fratellanza e liberazione, pur essendo state, entrambe le isole, luoghi di segregazione e sofferenza. Proprio in questi giorni, per connessioni misteriose e forse solo ipoteticamente casuali, mentre leggevo gli atti del progetto e le ragioni dei comitati che lo contrastano, mi ronzavano in testa le parole di Rodolfo il Glabro, spietato narratore apocalittico delle calamità naturali avvenute intorno all’anno Mille: «Pareva che gli elementi lottassero tra loro in reciproco conflitto. Mentre è certo che infliggevano una punizione alla superbia degli uomini». Leggo il progetto e le ragioni dei comitati, mentre Cop26 fallisce e annega in un mare di buone intenzioni, mentre i siciliani fanno i conti con il significato concreto della parola tornado e l’Europa sognata da Spinelli soccombe tra le “ragioni” dei grandi inquinatori del pianeta, nel corso del G20. Mentre mia figlia mi chiede com’è possibile che a Ventotene, nel mar Tirreno, qualcuno vada a pesca di barracuda e non veda l’ora di incontrare i pesci pagliaccio! Leggo il progetto e penso che sia animato dalle migliori intenzioni sui temi dell’occupazione, del rilancio del sito, della ristrutturazione del carcere, della riduzione del danno ambientale. Ma tutto questo temo non basti. Leggo e ho sempre più la certezza che i progetti sull’isola (ora disabitata) costituiscano grafemi di una lingua estranea a quella che il pianeta e l’ambiente ci impongono di acquisire con la massima urgenza. Se questo arcipelago deve essere la porta simbolica dell’Europa, se l’Europa, come sta accadendo, sta provando veramente a diventare capofila mondiale della battaglia ai cambiamenti climatici, allora appare evidente come ogni progetto che riguardi queste isole, per la loro valenza ambientale (siamo in un’area protetta, nella riserva marina e terrestre statale; il molo terminerebbe a pochi metri dalla foresta di Posidonia Oceanica), politica e di messaggio simbolico, debba avere il segno di una radicale controtendenza rispetto al passato. Il progetto da 70 milioni, avviato dal governo Renzi (!), in una fase storica pre pandemica, avrebbe dovuto, e forse ancora potrebbe, prendere in considerazione un impianto teorico e realizzativo capace di sintonizzarsi con le emergenze del presente; avrebbe potuto superare i cliché di un’epoca che ci ha portato agli attuali squilibri ambientali. Avrebbe dovuto mettere seriamente in discussione gli assiomi che hanno caratterizzato le stagioni precedenti: la crescita occupazionale tramite lo sviluppo e il consumo (di terra, di energia, di spazi fisici), la produzione di scarti, la contaminazione degli equilibri di ecosistemi delicati attraverso progetti di antropizzazione alieni ai luoghi stessi. Perché l’immagine di una Europa, quella della speranza, della pace e del riscatto disegnata da Altiero Spinelli, non proviamo a costruirla, come ci dicono comitati e molti esperti, attraverso iniziative, progetti, idee che abbiano in seno gli anticorpi al declino ambientale del pianeta? Il comitato che si oppone agli effetti ambientali del molo e di parte del progetto di riqualificazione propone strade alternative, meno impattanti eppure rispettose della necessità di intervenire per riqualificare. Io penso che, considerata la portata del progetto e la posta in gioco di una partita che va oltre le comunità isolane coinvolte, sia necessario riconsiderare l’opera alla luce del messaggio inequivocabile che ci sta mandando il pianeta.

Riceviamo e pubblichiamo:

Gentile direttrice, abbiamo letto l’articolo pubblicato su Left il 24 novembre e firmato da Gianluca Peciola dal titolo “Salviamo l’isolotto di Santo Stefano dal cemento

A nostro avviso riporta in maniera incompleta e forviante il senso e le attività connesse al Progetto di recupero dell’ex carcere borbonico di Santo Stefano in Ventotene, per questo motivo le inviamo una nostra breve nota:

Nessun “cemento e sfruttamento” e nessuna speculazione contro l’ambiente nel recupero dell’ex Carcere di Santo Stefano di Ventotene. Solo attenzione alla conservazione dell’habitat inclusa la prateria di Poseidonia, e rispetto per la storia dell’ex Carcere nel progetto di recupero, come dimostrano studi, ricerche, progettazioni e verifiche che sono alla base del progetto in corso, a me affidato dal Governo. Un chiarimento è doveroso rispetto a illazioni infondate: il recupero dell’intero ex complesso carcerario non prevede alcun intervento di cubatura aggiuntiva all’esistente, ma solo interventi di restauro conservativo, approvati dal Tavolo istituzionale permanente che presiedo, di cui sono parte la Presidenza del Consiglio, il Ministero della Cultura, il Ministero della Transizione Energetica, la Regione Lazio, l’Agenzia del Demanio, il Comune di Ventotene, la Riserva Naturale Statale e la Area Marina Protetta.
La vera minaccia per Santo Stefano, l’isola che ospita l’ex carcere Borbonico, noto come il Panopticon, è lo stato di abbandono in cui è stato lasciato un Bene culturale e ambientale per oltre 56 anni, nell’indifferenza di tutti, anche di coloro che oggi si ergono a paladini dell’ambiente. Con particolare riguardo al Progetto di approdo (priorità individuata già nell’accordo del
2017), il progetto attuale è stato oggetto di incontri tecnici con tutte le amministrazioni competenti compreso il Ministero dell’Ambiente, la Regione Lazio e il Comune con le due Riserve, e anche se il progetto non può certamente suggerire alcuna identificazione con un “porto”, ciò nonostante abbiamo deciso di sottoporlo alla procedura di Valutazione Impatto Ambientale (VIA) statale, tuttora in corso, allo scopo di dare a tutte le Associazioni e a tutti i Cittadini la possibilità di presentare osservazioni. Come Commissario di Governo vorrei sottolineare che la proposta finale del progetto di approdo sarà certamente il frutto del più alto livello di equilibrio che mi impegno a favorire tra le esigenze di accesso in sicurezza al godimento di un monumento nazionale e la doverosa tutela dei beni ambientali e faunistici dell’Isola. Nessuno spazio dunque quindi per svilire o danneggiare il Capitale naturale ma semmai
rendere meno fragile e degradato questo luogo così simbolico nel rispetto di vincoli e tutele previsti dalle normative.

*L’autrice: Silvia Costa è commissario straordinario per il recupero dell’ex Carcere di Santo Stefano Ventotene

*La foto “Santo Stefano vista da Ventotene” è di Luigi Versaggi – https://www.flickr.com/photos/versaggi/561227851/

*-*

Salviamo l’isolotto di Santo Stefano dal cemento

di Gianluca Peciola

Ho incontrato una vertenza (così mi viene di chiamarla) che riguarda il progetto di recupero e valorizzazione dell’ex carcere borbonico dell’isola di Santo Stefano, che prevede la realizzazione di un sito di alta formazione e di produzione, di attrattività culturale e turistica. Un progetto che prevede una riqualificazione paesaggistica, cantieri scuola, visite guidate, allestimenti museali, eventi e installazioni artistiche. Con la costruzione di un molo di cemento a rappresentare l’infrastruttura di approdo.
Avete presente? Santo Stefano è l’isolotto vicino di mare di Ventotene (nell’arcipelago delle isole pontine, al largo delle coste laziali), a cui è legato per prossimità geografica e per condivisione di storie di reclusioni e confini.
Nel carcere di Santo Stefano hanno trovato “ospitalità” lo scrittore Luigi Settembrini, il politico e patriota Silvio Spaventa, gli anarchici Gaetano Bresci e Giuseppe Mariani; durante il fascismo vi furono imprigionati Sandro Pertini, Umberto Terracini e il futuro senatore del Partito Comunista Italiano, Mauro Scoccimarro. Altri antifascisti vennero confinati nella vicina Ventotene.

Santo Stefano è una roccia piena di Storia, come Ventotene. Insieme trasmettono significati che le trascendono, che le fanno essere, loro malgrado, luoghi simbolicamente espressivi e naturalisticamente e culturalmente attrattivi. Sono parte di una sorta di arcipelago geopolitico del federalismo europeista, di un immaginario che, come per una sorta di contrappasso dei significati, trasuda idee di fratellanza e liberazione, pur essendo state, entrambe le isole, luoghi di segregazione e sofferenza.
Proprio in questi giorni, per connessioni misteriose e forse solo ipoteticamente casuali, mentre leggevo gli atti del progetto e le ragioni dei comitati che lo contrastano, mi ronzavano in testa le parole di Rodolfo il Glabro, spietato narratore apocalittico delle calamità naturali avvenute intorno all’anno Mille: «Pareva che gli elementi lottassero tra loro in reciproco conflitto. Mentre è certo che infliggevano una punizione alla superbia degli uomini».

Leggo il progetto e le ragioni dei comitati, mentre Cop26 fallisce e annega in un mare di buone intenzioni, mentre i siciliani fanno i conti con il significato concreto della parola tornado e l’Europa sognata da Spinelli soccombe tra le “ragioni” dei grandi inquinatori del pianeta, nel corso del G20. Mentre mia figlia mi chiede com’è possibile che a Ventotene, nel mar Tirreno, qualcuno vada a pesca di barracuda e non veda l’ora di incontrare i pesci pagliaccio!
Leggo il progetto e penso che sia animato dalle migliori intenzioni sui temi dell’occupazione, del rilancio del sito, della ristrutturazione del carcere, della riduzione del danno ambientale. Ma tutto questo temo non basti.
Leggo e ho sempre più la certezza che i progetti sull’isola (ora disabitata) costituiscano grafemi di una lingua estranea a quella che il pianeta e l’ambiente ci impongono di acquisire con la massima urgenza.

Se questo arcipelago deve essere la porta simbolica dell’Europa, se l’Europa, come sta accadendo, sta provando veramente a diventare capofila mondiale della battaglia ai cambiamenti climatici, allora appare evidente come ogni progetto che riguardi queste isole, per la loro valenza ambientale (siamo in un’area protetta, nella riserva marina e terrestre statale; il molo terminerebbe a pochi metri dalla foresta di Posidonia Oceanica), politica e di messaggio simbolico, debba avere il segno di una radicale controtendenza rispetto al passato.

Il progetto da 70 milioni, avviato dal governo Renzi (!), in una fase storica pre pandemica, avrebbe dovuto, e forse ancora potrebbe, prendere in considerazione un impianto teorico e realizzativo capace di sintonizzarsi con le emergenze del presente; avrebbe potuto superare i cliché di un’epoca che ci ha portato agli attuali squilibri ambientali. Avrebbe dovuto mettere seriamente in discussione gli assiomi che hanno caratterizzato le stagioni precedenti: la crescita occupazionale tramite lo sviluppo e il consumo (di terra, di energia, di spazi fisici), la produzione di scarti, la contaminazione degli equilibri di ecosistemi delicati attraverso progetti di antropizzazione alieni ai luoghi stessi.

Perché l’immagine di una Europa, quella della speranza, della pace e del riscatto disegnata da Altiero Spinelli, non proviamo a costruirla, come ci dicono comitati e molti esperti, attraverso iniziative, progetti, idee che abbiano in seno gli anticorpi al declino ambientale del pianeta? Il comitato che si oppone agli effetti ambientali del molo e di parte del progetto di riqualificazione propone strade alternative, meno impattanti eppure rispettose della necessità di intervenire per riqualificare. Io penso che, considerata la portata del progetto e la posta in gioco di una partita che va oltre le comunità isolane coinvolte, sia necessario riconsiderare l’opera alla luce del messaggio inequivocabile che ci sta mandando il pianeta.