La regione del lago Kivu è diventata teatro di continui attacchi di gruppi armati che mirano a controllare un territorio ricchissimo di minerali. Gli abitanti cercano la salvezza oltre la frontiera, in Uganda. Ecco il loro racconto

Dieumerci è il mio autista e mi indica l’altro lato della frontiera: un gruppo di montagne ricoperte di verde. Noi non possiamo attraversarla; nemmeno il mio passaporto opulento, rosso, mi può aiutare. La frontiera via terra è chiusa, causa Covid-19, ma per i circa 11mila profughi il governo ugandese ha aperto un corridoio umanitario.
Siamo a una decina di chilometri da Rutshuru a Nord del lago Kivu, nella Repubblica democratica del Congo (RdC), a pochi chilometri dal luogo dove è morto l’ambasciatore italiano Luca Attanasio.
Se voglio attraversare la frontiera, per vedere con i miei occhi cosa accade, posso tornare a Goma, capitale del distretto, e prendere un aereo.
Lui mi indica un punto imprecisato in mezzo alla foschia; il vento è fresco, siamo a milleduecento metri di altezza: da quella parte si nasconde la famiglia della sua ragazza, Yvette.
Era successo tutto troppo in fretta.
All’improvviso, a metà pomeriggio, del 7 di novembre; lei aveva sentito rumori di armi da fuoco. Proiettili, fucili mitragliatori e qualche esplosione: bombe a mano e bazooka. Il rumore si era avvicinato e lei aveva provato a informarne il fidanzato. Il telefono era morto, silenzio, come se la zona fosse stata sorpresa da un violento blackout.
Per prendere possesso del distretto sarebbe stato necessario conquistare alcuni luoghi strategici: l’ufficio del sindaco, il municipio, il quartier generale della polizia e quello dell’esercito. Interrompere le comunicazioni era parte della strategia.
Yvette, come i suoi vicini, era abituata a quelle scosse telluriche insorgenti: il segreto per sopravvivere è semplice: chiudersi in casa e allungarsi al suolo, sperando che i proiettili di rimbalzo colpiscano qualcun altro. In attesa che gli spari si rarefacciano e che uno dei due schieramenti alzi il proprio vessillo.
E poi?
E poi, non appena gli spari cessano, ci si ributta fuori a vivere, sostenendo di aver sempre dimorato sul carro del vincitore.
I racconti sono gli stessi da circa trent’anni.
La regione del lago Kivu è attraversata da un numero elevatissimo di gruppi armati (si parla di circa 300 organizzazioni che variano dai tre ai quattromila militanti).
Il gruppo armato M23, che ha rivendicato l’attacco del 7 e 8 novembre, ha conquistato almeno quattro villaggi. L’esercito regolare ha fatto una ritirata strategica, ma quanto di tutto questo sia vero non me lo può confermare nemmeno la mia guida. La guerra non si combatte solo con i proiettili, ma anche con i comunicati stampa.
Ogni gruppo attore della guerriglia regionale cerca di…


L’articolo prosegue su Left del 3-9 dicembre 2021

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