«Il coraggio e la resistenza delle afgane contro i misogini talebani è fonte di speranza per un futuro dell’Afghanistan fatto di pace, giustizia, democrazia e diritti umani» racconta l'ex parlamentare e attivista in questa eccezionale intervista per Left. E dalla clandestinità denuncia 20 anni di crimini occidentali ai danni del suo Paese

Riuscire a raggiungere Malalai Joya, una delle più importanti e indomite attiviste e politiche afgane, non è stato facile. I mesi trascorsi dopo il ritorno dei talebani al potere hanno portato l’Afghanistan nella fame e nella paura ma tante e tanti sono coloro che rischiano ogni minuto la vita e non si arrendono. La voce di questa donna è risuonata molte volte negli anni: nel 2003 venne eletta, con una campagna elettorale realizzata in clandestinità, nella Loya jirga, una “assemblea” simile al Parlamento, in cui accanto ad eletti siedono personalità importanti. Lei proveniva dalla provincia di Farah, giovanissima e determinata a scontrarsi col potere patriarcale di clan e signori della guerra. Durante il suo mandato – presidente Karzai e Paese occupato dalle forze occidentali – ha subito numerosi attentati, fino ad essere cacciata perché aveva reagito agli insulti e alle ingiurie. All’epoca venne più volte in Europa poi, col peggioramento delle condizioni in Afghanistan, la sua presenza si è diradata.

Nell’aprile del 2018 e poi l’anno successivo, la intervistammo su Left, trovandola tanto combattiva quanto pessimista per il futuro. I fatti purtroppo le hanno dato ragione e anche la fuga occidentale come il ritorno dei talebani non l’hanno troppo colta di sorpresa.
«Negli ultimi 20 anni, dall’occupazione Usa/Nato, presentata come “guerra al terrore”, non c’è stato un serio impegno nel voler sconfiggere i talebani. Gli stessi occupanti li hanno sostenuti in modi diversi, sia direttamente che indirettamente, e il denaro che hanno dichiarato di aver speso in nome della lotta al terrorismo è andato anche nelle tasche dei talebani. C’è stato il caso in cui addirittura i media in Afghanistan hanno dovuto riferire che alcune aree sotto il controllo talebano hanno ricevuto container pieni di armi e attrezzare militari con l’utilizzo di elicotteri “sconosciuti”. Non c’era nulla che potesse essere nascosto agli occhi degli Stati Uniti e delle loro agenzie di intelligence. Ed era prevedibile che sarebbe partito un nuovo progetto, attraverso il Pakistan, per distruggere il nostro Paese lasciandolo nelle mani dei talebani e della loro mentalità medievale, mediante un vergognoso accordo sostenuto dal regime fantoccio di Ashraf Ghani».

Cosa è cambiato in questi cinque mesi?
Il popolo afgano vive in una situazione disastrosa, inimmaginabile. La gente soffre di insicurezza, povertà, disoccupazione, subisce la corruzione e la privazione dell’istruzione per le ragazze. La musica è tornata ad essere proibita, i diritti umani, in particolare quelli delle donne sono violati in continuazione. È straziante vedere che per la povertà le persone stanno vendendo ogni loro cosa, persino i propri organi e i figli, per pochi soldi. Secondo il Wfp (Programma alimentare mondiale), solo il 2% degli afgani, a causa della crisi economica, ha sufficiente accesso al cibo e oltre 14 milioni di bambini avranno problemi di malnutrizione. La grande massa di persone che fuggono all’estero per chiedere asilo, principalmente giovani, è…


L’intervista prosegue su Left del 24 dicembre 2021, che resterà in edicola fino al 6 gennaio 2022

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