In un Paese normale uno che nel maggio del 2020 si faceva intervistare da tutte le televisioni con il suo lindo camice bianco per dirci che il virus era «clinicamente morto» alla fine della prima ondata di pandemia e poco prima delle successive e peggiori ondate che hanno colpito il mondo sarebbe considerato per quello che è: un provocatore in cerca di visibilità pericolosamente irresponsabile perché medico. Parliamo di Alberto Zangrillo, primario dell’Unità operativa di Anestesia e rianimazione generale e cardio-toraco-vascolare dell’Irccs Ospedale San Raffaele di Milano. Le cronache hanno cominciato a occuparsi di lui perché è il medico personale di Berlusconi e in questo Paese, si sa, essere una sciantosa del berlusconismo regala un’immeritata notorietà.
Zangrillo si fece conoscere per essere il medico giusto al momento giusto nel posto giusto per diagnosticare l’uveite che ha permesso a Berlusconi di rallentare i suoi processi. Zangrillo è lo stesso che riempie pagine di giornali con la sua previsione di un Berlusconi che vivrà 120 anni (qualcosa che ha il valore scientifico di un oroscopo) e con l’arrivo del Covid è stato uno dei primi a comprendere quanto potesse tornare utile minimizzare la pandemia per essere adottato da una fetta di pubblico. Zangrillo fu quello che avvisò i giornali di un Berlusconi positivo al Covid ma in piena forma e completamente asintomatico. A smentirlo ci pensò lo stesso Berlusconi che raccontò di essere stato in pericolo di vita e di avere avuto una carica virale “mai vista in Italia” (ovviamente, giusto per quel vizio di dover primeggiare). Zangrillo cambiò idea e decise di contraddirsi.
Poi Zangrillo è diventato addirittura filogovernativo (quando Berlusconi è entrato nella maggioranza, guarda a volte il caso) dicendoci che il governo italiano era un esempio nel mondo e che tutte le decisioni fossero esatte.
Ieri Zangrillo (che è considerato, chissà perché, voce autorevole sul virus) ha pubblicato sui social una foto di gente in coda scrivendo: «#SantoStefano, ore 10 a Milano. 200 metri di coda per alimentare le casse delle farmacie, il terrorismo giornalistico e certificare la morte del Paese».
Il 23 dicembre aveva scritto: «Quando il Paese sarà irrimediabilmente distrutto ne chiederemo ragione agli “scienziati” e ai “giornalisti innamorati del #COVID19”. #Omicron #Paranoia».
Non ci interessa analizzare lo Zangrillo in sé (non è personaggio degno di un editoriale) ma lo zangrillismo che quest’anno ha avviluppato la comunicazione è sintomatico di una schizofrenia sempre alla ricerca della cretinata più provocatoria e cretina per meritarsi un po’ di spazio. Siamo pieni di Zangrilli che sanno bene come la cautela rischi di smussare la visibilità (nonostante sia d’obbligo per certi ruoli) e quindi dicono tutto e il contrario di tutto. Ma forse il tema non sono nemmeno gli Zangrilli che esistono in tutti i campi. Il tema vero è che anche ieri, come sempre accaduto, a Zangrillo sia bastato un tweet per finire sulle pagine dei giornali. Quello che dichiarò il virus «clinicamente morto» viene considerato ancora autorevole.
Continuiamo a scambiare la popolarità per autorevolezza e continuiamo a alimentare un circolo perverso di provocazioni che vengono prese come opinioni scientifiche. Non è bastato tutto questo tempo per vaccinarci al cretinismo. Niente. Siamo ancora qui.
Buon Zangrillo a te e famiglia.
Buon lunedì.