Non mancava che l’ex presidente Milorad Dodik a scuotere le già fragili fondamenta istituzionali della Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina (di seguito Rs) acuendo una pericolosa crisi politica nel cuore dei Balcani. Il suo annuncio, da membro della presidenza della Bosnia-Erzegovina, che l’Assemblea nazionale eleggerà giudici e pubblici ministeri nelle zone di propria competenza, è infatti solo l’ultimo segmento di un processo caustico che sta ledendo la stabilità interna ormai da diversi mesi.
Da quando cioè, nella passata primavera, nelle cancellerie e ambasciate europee ha iniziato a circolare un non paper, una sorta di documento ufficioso, presumibilmente prodotto tra la Slovenia e l’Ungheria, nel quale si suggerisce di dirimere la questione bosniaca attraverso la finale sparizione territoriale tra Serbia e Croazia. Premiando così le logiche predatorie dei nazionalisti della Rs e di quelli arroccati nell’Erzegovina sponda cattolica.
La Bosnia ed Erzegovina, lo ricordiamo, è dotata di una presidenza tripartita, composta da esponenti dei tre gruppi etnici maggioritari (musulmano-bosniaco, serbo-bosniaco e croato-bosniaco) le cui relazioni hanno vissuto momenti di particolare difficoltà. Inoltre, a seguito degli Accordi di Dayton del 1995, la Bosnia è divisa in due entità: la Federazione di Bosnia ed Erzegovina (FBiH) e la Repubblica serba di Bosnia ed Erzegovina (Republika Srpska, Rs). Dodik, dopo essere stato per otto anni presidente della Rs, siede appunto nella presidenza della Bosnia in quota serba.
Il non paper è finito sbrigativamente in cavalleria, ma ha certamente prodotto degli elementi su cui riflettere: in primo luogo è stato un termometro con cui le coalizioni nazionaliste locali hanno potuto misurare la fermezza dell’Unione europea rispetto all’integrità nazionale della Rs. Pochi mesi dopo, a luglio, le lotte intestine per una maggiore autonomia politica da parte della Rs hanno avuto una nuova escalation. I rappresentanti del partito di Dodik, l’Alleanza dei socialdemocratici indipendenti (Snsd), hanno boicottato le elezioni politiche conducendo la nazione in uno stato di paralisi e inasprendo ulteriormente i rapporti con la Federazione di Bosnia ed Erzegovina (FBiH). Pomo della discordia è stato il decreto introdotto dall’ex Alto rappresentante Valentin Inzko che rende perseguibili legalmente i negazionisti del genocidio e dei crimini annessi. I delegati per il popolo serbo di Bosnia hanno dichiarato di voler sospendere i circa 140 decreti legislativi emanati dall’Alto rappresentante durante il suo mandato, lanciando una chiara sfida alla Comunità internazionale.
In ambedue i casi il silenzio della Comunità internazionale, Ue compresa, ha accompagnato l’evolversi delle questioni, relegando a un piano ancillare le sorti di un Paese che trent’anni fa è stato dilaniato da una guerra fratricida e ancora oggi paga socialmente il peso di un processo di metabolizzazione e di riconoscimento reciproco mancato. Un luogo dove la…
L’autore: Andrea Caira è ricercatore e giornalista freelance. Per Mimesis ed. ha pubblicato La resistenza oltre le armi. Sarajevo 1992-1996
In piazza per la pace e contro la divisione
Una manifestazione dal titolo “Salviamo la Bosnia ed Erzegovina” in contemporanea in 11 città europee e nordamericane, tra cui Roma, per protestare pacificamente contro chi vuole la divisione del Paese. Si svolge il 10 gennaio 2022 per promuovere la pace e per una vera riconciliazione senza le quale nessun progresso socioeconomico sarà possibile
A Roma (ore 11 in piazza SS. Apostoli) l’evento è organizzato da: Ass. Bosna u srcu (Bosnia nel cuore) di Roma, Ass. Ljljan di Angolo Terme (Bs), Ass. cult. bosniaca Stecack di Verona, Ass. Bosniaca Behar di Cimisano (Pd), Ass. bosniaci di Trieste, Ass. cult. Bosniaca Biella, Ass. Bosnia Erzegovina Oltre confini di Piacenza
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