In due anni di pandemia il governo non ha ridotto il numero degli studenti in classe, assunto nuovi professori e migliorato gli impianti di aerazione. Ma tra le tante criticità irrisolte del mondo della scuola c’è sicuramente anche lo sfruttamento del personale docente precario

Dopo le vacanze di fine anno con la quarta ondata causata dalla variante Omicron, il mondo della scuola italiana è caduto, come prevedibile, nuovamente nel caos. Da un lato il governo che ha deciso di procedere con il normale svolgimento delle lezioni in presenza anche a fronte di altissimi livelli di contagiosità; dall’altro presidi, sindaci e governatori hanno fatto pressione per posticipare il rientro degli alunni in classe e la reintroduzione della Dad (didattica a distanza) almeno fino a un’inversione di tendenza della curva.

In questa diatriba che sembra utilizzare sempre più l’unità di misura politica piuttosto che quella tecnica (nulla, per es., è stato fatto in questi due anni per mettere in sicurezza la scuola pubblica e garantire agli studenti la possibilità di seguire le lezioni in presenza con continuità), nessuno si è però focalizzato né dal punto di vista della dignità del lavoro né sui rischi per la salute, su chi in questi due anni di pandemia ha sostanzialmente retto il sistema scuola: gli insegnanti precari. Si tratta di centinaia di migliaia di persone che in alcune regioni sono il 40 o il 50% del personale docente e hanno coperto con le supplenze i giorni di malattia dei colleghi permettendo agli studenti di seguire regolarmente le loro lezioni.

Mia A. ad esempio è una giovane insegnante romana inserita nelle graduatorie che servono proprio per le sostituzioni per malattia, maternità o congedo. Per pagare l’affitto e le bollette è costretta a…


L’articolo prosegue su Left del 14-20 gennaio 2022 

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