Poiché dalle nostre parti i giornali stranieri si leggono solo quando parlano di noi (e soprattutto se parlano bene di mister Draghi) vale la pena recuperare un articolo del The Guardian, a firma di M Mursal e Zahra Nader, che racconta le vicissitudini della famiglia afghana Rahmati che vive in una capanna di fango con un tetto di plastica in uno dei bassifondi della città di Herat.
La temperatura anche da quelle parti sta scendendo sotto lo zero e Delaram Rahmati lotta quotidianamente per dare da mangiare ai suoi figli. La siccità ha reso il loro villaggio invivibile e i terreni impraticabili. Non c’è lavoro. Ma la 50enne Delaram ha le spese ospedaliere per pagare due dei suoi figli, uno dei quali è paralizzato e l’altro che ha una malattia mentale, oltre alle medicine per il marito.
«Sono stata costretta a vendere due delle mie figlie, una di otto e sei anni», racconta. Rahmati dice di aver venduto le sue figlie alcuni mesi fa per 100mila afgani ciascuna a famiglie che non conosce. Le sue figlie rimarranno con lei fino al raggiungimento della pubertà e poi saranno consegnate a estranei. Non è raro in Afghanistan organizzare la vendita di una figlia in un futuro matrimonio, ma crescerla a casa fino al momento della sua partenza. La carestia in atto però sta provocando un abbassamento dell’età in cui i bambini vengono venduti.
Vendere le figlie però non le è bastato e così Delaram Rahmati è stata costretta a vendere un proprio rene per racimolare un po’ di denaro. Il commercio di reni in Afghanistan è in crescita da tempo. Ma da quando i talebani hanno preso il potere, il prezzo e le condizioni in cui avviene il commercio illegale di organi sono cambiati. Il prezzo di un rene, che una volta variava da $ 3.500 a $ 4.000, è sceso a meno di $ 1.500 . Ma il numero dei volontari continua a crescere. Rahmati ha venduto il suo rene destro per 150mila afgani ma la sua guarigione dall’operazione non è stata buona e ora, come suo marito, anche lei è malata, senza soldi per farsi visitare da un medico.
«Sono passati mesi dall’ultima volta che abbiamo mangiato il riso. Difficilmente troviamo pane e tè. Tre sere a settimana non possiamo permetterci di cenare», racconta Salahuddin Taheri, che vive nello stesso quartiere della famiglia Rahmati. Taheri, un 27enne padre di quattro figli, raccoglie abbastanza soldi per cinque pagnotte di pane ogni giorno raccogliendo e vendendo rifiuti riciclati ma sta cercando un acquirente per il suo rene. «Sono molti giorni che chiedo agli ospedali privati di Herat se hanno bisogno di reni. Ho anche detto loro che se ne hanno bisogno urgente, posso venderlo al di sotto del prezzo di mercato, ma non ho avuto risposta», dice Taheri. «Ho bisogno di sfamare i miei figli, non ho altra scelta».
Cercare un rene a buon mercato nelle zone più povere di Herat è ormai una pratica comune, benché illegale, nell’Afghanistan che secondo l’Onu, sta «vivendo la peggiore crisi umanitaria della sua storia contemporanea». La siccità, il Covid-19 e le sanzioni economiche imposte dopo la presa del potere dei talebani nell’agosto 2021 hanno avuto conseguenze catastrofiche sull’economia. I drammatici aumenti dell’inflazione hanno portato all’impennata dei prezzi dei generi alimentari. La fame nel Paese ha raggiunto livelli davvero senza precedenti. Quasi 23 milioni di persone, ovvero il 55% della popolazione, stanno affrontando livelli estremi di fame e quasi 9 milioni di loro sono a rischio di carestia.
Buon martedì.
Nella foto: Una famiglia fuori della propria casa. Una delle ragazze è stata venduta dal padre per sfamare i suoi cinque figli, Herat, 16 dicembre 2021
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