Quanto è elevato il rischio che la crisi tra Russia e Ucraina sfoci in una guerra? Che ruolo giocano Cina, Usa, Nato, e Ue? Che succede se Putin chiude ulteriormente i rubinetti del gas verso l’Europa? Ne parliamo con la ricercatrice dell’Ispi Eleonora Tafuro Ambrosetti

Distratti dalle tensioni tra le grandi potenze coinvolte nella crisi tra Russia e Ucraina, i grandi media raramente mostrano attenzione nei confronti di chi la guerra la vive ogni giorno. «Non si parla mai degli ucraini, delle persone che questo conflitto lo vivono in maniera diretta. Tendiamo a dimenticare la loro sorte eppure le conseguenze politiche, economiche e di sicurezza per la popolazione civile ucraina sono molto gravi». Eleonora Tafuro Ambrosetti è un’analista politica dell’Ispi-Istituto per gli studi di politica internazionale, esperta di questioni che riguardano l’area “Russia, Caucaso e Asia centrale”. Le abbiamo rivolto alcune domande per cercare di orientarci nell’intricata matassa geopolitica che ruota intorno al conflitto tra Mosca e Kiev dopo che negli ultimi giorni si è tornato a parlare con insistenza di minaccia imminente di invasione da parte delle truppe di Putin. Il primo pensiero della ricercatrice va ai civili: «Spesso – dice – vediamo che nella popolazione c’è un’opposizione alla guerra. C’è sicuramente una diffusa avversione nei confronti della Russia ma c’è anche una forte stanchezza e un grande desiderio di pace».

Quanto è reale la minaccia di un’invasione della Russia nei confronti dell’Ucraina?
Molti in Ucraina e altrove direbbero che l’invasione già c’è stata. Da un certo punto di vista hanno ragione. La Crimea è stata annessa nel 2014 abbastanza pacificamente ma illegalmente e c’è una presenza russa in Donbass riconosciuta anche dal Cremlino. Sebbene Mosca neghi che si tratti di una presenza militare regolare ha ammesso che ci sono delle personalità legate all’intelligence militare.
Secondo lei, in Ucraina orientale la situazione può degenerare?
Non credo che il Cremlino abbia un interesse reale a invadere ulteriormente. Anche perché annettere una parte dei territori del Donbass non avrebbe un ritorno strategico importante.
Perché?
Per diversi motivi: economici, di politica estera e di politica interna. Il Donbass è già dipendente economicamente dalla Russia, sarebbe solamente un peso in più soprattutto nelle condizioni attuali dell’economia russa. Inoltre l’annessione attirerebbe altre pesantissime sanzioni internazionali. Infine, in termini di politica interna, non comporterebbe nemmeno un aumento di popolarità per il regime di Putin. Diversamente da quanto accadde in Crimea nel 2014 non genererebbe sostegno tra la popolazione.
Più in generale cosa ha impedito a Putin fino a ora di attaccare l’Ucraina?
Io penso che l’annessione non sia una prospettiva plausibile nel breve medio termine. Le altre opzioni che avrebbe Putin sono: un’incursione mirata, magari da usare come leva politica per costringere l’Ucraina a un rispetto degli accordi del Minsk2 del 12 febbraio 2015, e l’invasione totale, con Putin che arriva al confine con l’Ue. Ma non credo proprio che questo avverrà.
Dunque, non c’è il rischio che questa crisi si trasformi in una crisi militare tra Russia e forze Usa/Nato?
In generale credo che la Russia non abbia intenzione di attuare un’azione militare così forte, cioè l’invasione totale dell’Ucraina, perché non ne ha l’interesse. Quella a cui stiamo assistendo è una prova di forza per rafforzare la posizione negoziale con gli Stati Uniti ma questo mostrare i muscoli ha generato un effetto domino di reazioni dalla parte occidentale che a loro volta hanno provocato lo stallo in cui ci si trova adesso.
Vale a dire?
La Russia più avanti di così non può andare. Nel senso che l’unico passo ulteriore dopo quelli già compiuti è quello dell’azione militare. Dal canto suo Washington ha a disposizione delle leve da poter usare nei confronti di Mosca per farla desistere. Ciò non toglie la situazione sia oggettivamente pericolosa vista la crescente militarizzazione di tutta l’area. Stando così le cose, può bastare l’errata interpretazione di un segnale dell’avversario per far degenerare tutto.
Quali sono le leve che hanno a disposizione gli Usa?
La leva primaria è quella delle sanzioni catastrofiche che stanno paventando da mesi. Andrebbero a indebolire l’economia russa che già fa molta fatica, ma non dimentichiamo che farebbero un danno importante anche per le economie che con Mosca continuano a fare affari. In primis quelle europee: la Russia è il quinto partner commerciale per l’Ue. Per Washington il discorso è completamente diverso perché Mosca è il partner commerciale nr. 30. Poi c’è la leva militare. La Nato non potrebbe intervenire nel caso di un attacco diretto, perché l’Ucraina non è un Paese membro e quindi non si attiverebbe l’articolo 5. Però gli Usa e la Nato stano mandando truppe nei Paesi alleati (Germania, Polonia) e far vedere a Putin che la presenza militare è aumentata è un altro tentativo di dissuasione. Allo stesso tempo, si sta mostrando una volontà di proseguire il dialogo diplomatico. È una strada che tutti vogliono percorrere nonostante la differenza di posizioni.
In tutto questo come si sta muovendo la diplomazia Ue?
Purtroppo ha dimostrato di non essere molto incisiva, ma non solo per colpa sua. Russia e Usa hanno intavolato questa discussione senza coinvolgere Bruxelles, sebbene questa crisi riguardi anche l’Europa. In passato Merkel e Macron hanno……

Illustrazione di Carolina Calabresi per Left


L’intervista prosegue su Left del 11-16 febbraio 2022 

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SOMMARIO

Scrivevo già per Avvenimenti ma sono diventato giornalista nel momento in cui è nato Left e da allora non l'ho mai mollato. Ho avuto anche la fortuna di pubblicare articoli e inchieste su altri periodici tra cui "MicroMega", "Critica liberale", "Sette", il settimanale uruguaiano "Brecha" e "Latinoamerica", la rivista di Gianni Minà. Nel web sono stato condirettore di Cronache Laiche e firmo un blog su MicroMega. Ad oggi ho pubblicato tre libri con L'Asino d'oro edizioni: Chiesa e pedofilia. Non lasciate che i pargoli vadano a loro (2010), Chiesa e pedofilia, il caso italiano (2014) e Figli rubati. L'Italia, la Chiesa e i desaparecidos (2015); e uno con Chiarelettere, insieme a Emanuela Provera: Giustizia divina (2018).