La libertà dei medici di svolgere la propria professione, secondo scienza e coscienza, non dovrebbe mai essere messa in discussione dalla politica

Una grande occasione mancata, la bocciatura del referendum abrogativo sull’eutanasia. Una brutta notizia, dopo circa un milione di firme raccolte, con grandissimo impegno di tanti giovani, con la forza ed il coraggio che storicamente contraddistingue i radicali e l’associazione Luca Coscioni. Difficile non pensare a un condizionamento dovuto alla costante ingerenza da parte della Chiesa, dove vengono occultati e scontati crimini inemendabili come la pedofilia che riteniamo impossibile non menzionare, a differenza di altri contesti.

Tuttavia, giuristi ed esperti favorevoli a una legge sull’eutanasia non hanno potuto fare a meno di concordare con il no della Consulta, perché l’abrogazione parziale di una norma penale che impedisce l’introduzione dell’eutanasia legale in Italia avrebbe aperto a un rischio troppo alto: fare rientrare nella legge per l’eutanasia l’omicidio del consenziente, non proteggendo soggetti più fragili che invece devono essere tutelati.

Lo slogan del referendum, “liberi fino alla fine”, parla di una libertà che restituisce dignità alla vita umana, perché chiede che malati organici affetti da patologie croniche, con danno fisico comprovato ed irreversibile, si vedano riconosciuti il diritto di rifiutare una vita disumana e che le loro famiglie non vivano l’esperienza di assistere impotenti alla loro sofferenza.

Dovrebbe essere soltanto il…

*L’autrice: Daniela Polese è psichiatra e psicoterapeuta


L’articolo prosegue su Left del 25 febbraio 2022 

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