Vanno riviste criticamente le mille aperture, italiane e occidentali, venute negli anni da destra come da sinistra, nei confronti di un dittatore la cui visione del mondo (e del dissenso) era nota ben prima dell’attacco all’Ucraina

Per contrastare lo smarrimento che ci assale davanti alla tragedia dell’Ucraina c’è bisogno di un punto d’avvio che permetta di capire il presente ma di guardare più lontano dalla cronaca, nel passato e nel futuro. Un bell’avvio è lo spunto offerto dalla manifestazione di sabato 26 febbraio a Firenze, animata da un orizzonte largo di sigle e movimenti, tutti accomunati dal ripudio della guerra. Il luogo, intanto: il ponte di Santa Trinità, innalzato nel Cinquecento da Bartolomeo Ammannati e rifatto tal quale dopo che i tedeschi l’ebbero distrutto nel 1944. Se il ponte tradizionalmente unisce, anche superando difficoltà immani, questo ponte, non meno di quello a Mostar, è affatto speciale perché risarcisce una lacerazione di guerra. Chi è contro la guerra deve costruire. Ma cosa, e in che modo? In cosa deve consistere una “cultura di pace”?

Lo suggerisce un manifesto, vera dichiarazione di etica e di metodo, proposto dagli studenti del liceo Giovanni Pascoli. Niente immagini, solo parole su un foglio a quadretti. Ma di quelle che esprimono una coscienza civile che molta della nostra classe politica invidierebbe (o forse non invidia affatto, proprio per questo). Siccome la storia insegna solo a chi ascolta, dicono gli studenti fiorentini, invitiamo tutti quanti ad «informarsi, riflettere e discuterne». Anzi: smettiamo di citare il passato senza agire nel presente, e non dimentichiamo che non altrettanta attenzione sappiamo dimostrare per le sorti di quei popoli che hanno il torto di vivere lontano dall’Europa (ci stiamo già accorgendo che un profugo siriano vale meno di uno ucraino). Sono tre momenti fondamentali di un metodo che è storico e politico al tempo stesso: raccogliere dati e informazioni, indagare le fonti; analizzare questi materiali, interrogarli, distillarli; e quindi farne oggetto di una dialettica condivisa. La storia, insomma, non come strumento di distorsione, ma presupposto necessario della buona politica. Dell’architettura della pace propria dei costruttori di ponti.

Uno dei passaggi più spiazzanti, almeno alle nostre latitudini, dell’agghiacciante discorso con cui Vladimir Putin ha annunciato l’inizio della guerra è quello in cui si proclama la necessità di denazistizzare l’Ucraina. Che per Putin non esiste, perché è sempre stata Russia. Premesso che non è vero, se così fosse come potrebbe essere ancor oggi una terra così infestata dal nazismo da dover venire bonificata con le armi? E come potrebbe presiederla un ebreo? Piegando la storia alla volontà di potenza, Putin ha tuttavia fornito – credo del tutto involontariamente – un contributo a un obiettivo cui devono tendere tanto gli storici quanto i politici, e cioè quello del riconoscimento della complessità dei…


L’articolo prosegue su Left del 4-10 marzo 2022 

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