La soluzione della guerra in Ucraina passa per Pechino? Oggi più di ieri sembra di sì. Il 14 marzo - inaspettatamente - si sono incontrati a Roma il capo della diplomazia della Repubblica Popolare cinese, il Consigliere di Stato, Yang Jiechi, e il Consigliere per la Sicurezza Nazionale degli Usa, Jake Sullivan. Si è trattato di un incontro assolutamente informale, fuori da una sede istituzionale, svoltosi in un hotel romano, non in una delle tante sedi del governo italiano a Roma, fra due personaggi che si erano già incontrati lo scorso anno a Zurigo, ma che hanno una consuetudine politica e diplomatica decennale. Yang è stato ambasciatore negli Usa (2001-2005) e poi ministro degli Esteri (2013-2017) per diventare poi il primo consigliere in politica estera del presidente Xi Jinping. Yang parla inglese per aver anche studiato in Gran Bretagna e conosce bene Sullivan, che ha lavorato come consigliere del Segretario di Stato, Hillary Clinton, proprio quando Yang era ministro degli Esteri in Cina. Insomma, due vecchi conoscenti che hanno discusso per sette ore, forse anche senza ausilio continuo di un interprete, un tempo lunghissimo per un colloquio politico-diplomatico, in un contesto informale di un albergo. Tuttavia, i comunicati ufficiali di Pechino e di Washington non hanno lasciato trapelare nulla dei veri contenuti del colloquio. Pechino nel comunicato in cui annunciava l’incontro non faceva neppure menzione del problema dell’Ucraina, ma indicava solo «scambi su questioni di comune interesse fra Cina e Usa». Mentre dagli Usa è arrivata la notizia che l’amministrazione americana voleva ammonire la Cina a non fornire armamenti a Mosca. Si noti a latere che, l’eventuale partecipazione indiretta di Pechino al conflitto, pur se prontamente e seccamente smentita, ha avuto l’effetto - forse desiderato - di far cadere le borse di Shanghai e Shenzhen. Sullivan si è poi recato a Palazzo Chigi dove ha incontrato il consigliere diplomatico del presidente del Consiglio e successivamente anche Mario Draghi, con il quale ha parlato della preparazione del suo primo viaggio a Washington, previsto per il maggio prossimo; argomento davvero scottante, se pensiamo al fatto che c’è una guerra in Europa e mancano ancora due mesi! Le tre notizie sono in realtà cortine di fumo per non farci sapere che cosa è veramente successo a Roma. Mentre tanti giornalisti nostrani si affannano a gettare olio sul fuoco, dobbiamo solo sperare che effettivamente qualche cosa si stia muovendo nelle relazioni fra Pechino e Washington, le prime due economie mondiali, come ormai la stampa cinese indica i due Paesi. Pechino ha tutto l’interesse a spianare la strada per una soluzione della crisi. La Cina fino al mese scorso era il primo partner commerciale dell’Ucraina, e la Russia costituisce per la Cina un mercato importante sia in termini di forniture energetiche che alimentari, ma il mantenimento dell’interscambio con l’Europa e lo scongelamento delle relazioni con gli Stati Uniti sono assai più importanti. Non è un caso che il presidente del Consiglio Li Keqiang nel suo recente discorso annuale all’Assemblea del Popolo (il Parlamento cinese) abbia ricordato il cinquantesimo anniversario della normalizzazione delle relazioni fra Nixon e Mao. Inoltre, Pechino non vuole veder cadere la Russia e il suo presidente, perché una instabilità in Russia avrebbe un effetto destabilizzante in tutta l’Asia Orientale. Insomma, la Cina sembra proprio che non abbia né interesse né intenzione di sacrificare le relazioni con il mondo occidentale, che ha creato la globalizzazione di cui il popolo cinese è stata fra i più grandi beneficiari, per i suoi rapporti con Putin. La Cina ha bisogno del mondo per continuare a crescere e a soddisfare le esigenze della sua popolazione. Ma in questo momento anche il resto del mondo non può fare a meno della Cina, che potrebbe mediare con Putin, garantendone la sopravvivenza al potere, ma ponendo fine al conflitto in Europa. Forse la vera globalizzazione è iniziata solo ora che l’Occidente e gli Usa si stanno faticosamente rendendo conto che nel mondo non siamo soli. Il sinologo Federico Masini è docente di Lingua e letteratura cinese all’Università di Roma “la Sapienza” [su_divider style="dotted" divider_color="#d3cfcf"]
L'editoriale è tratto da Left del 18-24 marzo 2022 
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La soluzione della guerra in Ucraina passa per Pechino? Oggi più di ieri sembra di sì. Il 14 marzo – inaspettatamente – si sono incontrati a Roma il capo della diplomazia della Repubblica Popolare cinese, il Consigliere di Stato, Yang Jiechi, e il Consigliere per la Sicurezza Nazionale degli Usa, Jake Sullivan. Si è trattato di un incontro assolutamente informale, fuori da una sede istituzionale, svoltosi in un hotel romano, non in una delle tante sedi del governo italiano a Roma, fra due personaggi che si erano già incontrati lo scorso anno a Zurigo, ma che hanno una consuetudine politica e diplomatica decennale. Yang è stato ambasciatore negli Usa (2001-2005) e poi ministro degli Esteri (2013-2017) per diventare poi il primo consigliere in politica estera del presidente Xi Jinping. Yang parla inglese per aver anche studiato in Gran Bretagna e conosce bene Sullivan, che ha lavorato come consigliere del Segretario di Stato, Hillary Clinton, proprio quando Yang era ministro degli Esteri in Cina. Insomma, due vecchi conoscenti che hanno discusso per sette ore, forse anche senza ausilio continuo di un interprete, un tempo lunghissimo per un colloquio politico-diplomatico, in un contesto informale di un albergo.

Tuttavia, i comunicati ufficiali di Pechino e di Washington non hanno lasciato trapelare nulla dei veri contenuti del colloquio. Pechino nel comunicato in cui annunciava l’incontro non faceva neppure menzione del problema dell’Ucraina, ma indicava solo «scambi su questioni di comune interesse fra Cina e Usa». Mentre dagli Usa è arrivata la notizia che l’amministrazione americana voleva ammonire la Cina a non fornire armamenti a Mosca. Si noti a latere che, l’eventuale partecipazione indiretta di Pechino al conflitto, pur se prontamente e seccamente smentita, ha avuto l’effetto – forse desiderato – di far cadere le borse di Shanghai e Shenzhen. Sullivan si è poi recato a Palazzo Chigi dove ha incontrato il consigliere diplomatico del presidente del Consiglio e successivamente anche Mario Draghi, con il quale ha parlato della preparazione del suo primo viaggio a Washington, previsto per il maggio prossimo; argomento davvero scottante, se pensiamo al fatto che c’è una guerra in Europa e mancano ancora due mesi!

Le tre notizie sono in realtà cortine di fumo per non farci sapere che cosa è veramente successo a Roma. Mentre tanti giornalisti nostrani si affannano a gettare olio sul fuoco, dobbiamo solo sperare che effettivamente qualche cosa si stia muovendo nelle relazioni fra Pechino e Washington, le prime due economie mondiali, come ormai la stampa cinese indica i due Paesi. Pechino ha tutto l’interesse a spianare la strada per una soluzione della crisi. La Cina fino al mese scorso era il primo partner commerciale dell’Ucraina, e la Russia costituisce per la Cina un mercato importante sia in termini di forniture energetiche che alimentari, ma il mantenimento dell’interscambio con l’Europa e lo scongelamento delle relazioni con gli Stati Uniti sono assai più importanti. Non è un caso che il presidente del Consiglio Li Keqiang nel suo recente discorso annuale all’Assemblea del Popolo (il Parlamento cinese) abbia ricordato il cinquantesimo anniversario della normalizzazione delle relazioni fra Nixon e Mao. Inoltre, Pechino non vuole veder cadere la Russia e il suo presidente, perché una instabilità in Russia avrebbe un effetto destabilizzante in tutta l’Asia Orientale. Insomma, la Cina sembra proprio che non abbia né interesse né intenzione di sacrificare le relazioni con il mondo occidentale, che ha creato la globalizzazione di cui il popolo cinese è stata fra i più grandi beneficiari, per i suoi rapporti con Putin.

La Cina ha bisogno del mondo per continuare a crescere e a soddisfare le esigenze della sua popolazione. Ma in questo momento anche il resto del mondo non può fare a meno della Cina, che potrebbe mediare con Putin, garantendone la sopravvivenza al potere, ma ponendo fine al conflitto in Europa. Forse la vera globalizzazione è iniziata solo ora che l’Occidente e gli Usa si stanno faticosamente rendendo conto che nel mondo non siamo soli.

Il sinologo Federico Masini è docente di Lingua e letteratura cinese all’Università di Roma “la Sapienza”


L’editoriale è tratto da Left del 18-24 marzo 2022 

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