Prima la Germania. Poi Francia, Danimarca, Svezia. Infine l’Italia. La guerra in Ucraina ha innescato in molti Paesi europei una nuova corsa agli armamenti. Così il virus del militarismo cambierà non solo i bilanci dei governi ma anche l’agenda politica dell’Unione

A dare il la è stata Berlino. Il 27 febbraio il cancelliere socialdemocratico Olaf Scholz ha annunciato di fronte al Bundestag l’innalzamento della spesa militare dall’1,5% al 2% del prodotto interno lordo tedesco e lo stanziamento di 100 miliardi di euro per rafforzare l’esercito. «È chiaro che dobbiamo investire molto di più nella sicurezza del nostro paese, al fine di proteggere la nostra libertà e la nostra democrazia» ha detto Scholz in Parlamento, definendo la nuova guerra in Europa come «una cesura nella storia del continente». Si tratta di una svolta militarista che Angela Merkel in 16 anni di governo non aveva mai voluto fare. Ma per capire come siamo arrivati a questo punto, facciamo un passo indietro. A metà dicembre 2021 rilanciavamo su queste pagine l’appello di oltre 50 premi Nobel e accademici per tagliare la spesa militare mondiale e liberare risorse per sfide globali come «pandemie, cambiamenti climatici e povertà estrema». Sono passati tre mesi, sembrano secoli. L’invasione della Russia in Ucraina iniziata il 24 febbraio scorso ha innescato in tutta Europa una nuova corsa agli armamenti che rischia di ridefinire radicalmente il bilancio dell’Unione e dei Paesi membri, e con essi l’agenda politica dei prossimi anni.

Già perché dopo la Germania si sono mosse Francia, Danimarca e Svezia. Macron punta ad aumentare il budget della difesa a 50 miliardi nel 2025; la premier danese Mette Frederiksen ha dichiarato di voler «rafforzare in modo significativo le forze armate sia a breve che a lungo termine» portando la spesa militare danese dal 1,47% al 2%; il medesimo impegno è stato espresso dalla sua omologa svedese Magdalena Andersson (anche lei come Frederiksen, e Scholz, socialdemocratica). Infine è stata la volta dell’Italia.
Il 16 marzo alla Camera è stato approvato un ordine del giorno collegato al “decreto Ucraina”, che impegna il governo ad incrementare anche la nostra spesa per la difesa fino al 2% del Pil. Il documento è stato proposto dalla Lega (primo firmatario Roberto Paolo Ferrari) e sottoscritto da tutte le forze politiche, tranne Sinistra italiana, ManifestA, Verdi e gli ex grillini di Alternativa. Nel testo si pone come obiettivo la predisposizione di «un sentiero di aumento stabile nel tempo, che garantisca al Paese una capacità di deterrenza e protezione». Come obiettivo più immediato, invece, ci si impegna ad «incrementare alla prima occasione utile il Fondo per le esigenze di difesa nazionale».

Restiamo ai fatti di casa nostra. Occorre notare che lo strumento utilizzato dal Carroccio, l’ordine del giorno, è di fatto uno dei meno incisivi tra quelli a disposizione dei parlamentari e non implica un cambio di rotta immediato. Dal ministero dell’Economia, peraltro, ci si affretta ad escludere che il nuovo impegno economico sul fronte “armamenti” non verrà inserito nel Documento di economia e finanza, il Def, che il governo dovrebbe presentare a stretto giro.
Ad ogni modo, se il governo dovesse dare seguito alle “promesse”, «ciò significherebbe, citando le cifre fornite dal ministro della Difesa Guerini, passare dai circa 25,8 miliardi l’anno attuali (68 milioni al giorno) ad almeno 38 miliardi l’anno (104 milioni al giorno)», come ha spiegato in una nota l’osservatorio sulle spese militari italiane Milex.
Si tratterebbe dunque di una ulteriore svolta militarista, dopo quella che abbiamo denunciato lo scorso dicembre, ricordando…

– Illustrazione di MEO, officinaB5


L’inchiesta prosegue su Left del 25 marzo 2022 

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